di Luca Carestia
Tra i testi che contribuiscono alla narrazione della vita di san Girio vi sono la recente Vita di San Girio comprotettore di Potenza Picena, scritta da padre Eugenio Bompadre (1876-1958) nei primi decenni del XX secolo e il ben più antico Della vita, culto, e miracoli di S. Girio confessore Specialissimo Protettore di Monte Santo nel piceno di Alessandro Marinucci, stampato a Roma nel 1766. Nella premessa al suo libro il Bompadre afferma che per la stesura del testo si è servito di una vecchia vita del Santo, stampata nel 1766 a Roma, dando così certezza che lo scritto a cui fece riferimento sia quello del Marinucci. Questi, come ribadito nell’avvertimento premesso al testo, desunse le notizie agiografiche dagli Atti del Santo, e da un autentico Manoscritto in lingua francese. Riguardo queste fonti il Marinucci ci informa che nel 1326 gli Atti furono trovati nell’Archivio della Curia Arcivescovile di Fermo e ne venne fatta una copia che si conserva nella Biblioteca Vallicelliana di Roma; il manoscritto invece fu redatto sugl’antichi Libri della Ven. Confraternita de’ Penitenti Bianchi (oggi detta altresì del Confalone) di Lunello, città del sud della Francia dove si ritiene san Girio provenga.
Antonio Maria Costantini e il culto di san Girio
Entrambi i documenti furono consultati dal cappuccino Antonio Maria Costantini da Monte Santo (1693-1767) a seguito dell’incarico affidatogli dall’arcivescovo di Fermo Alessandro Borgia (1682-1764) circa il riconoscimento ufficiale del culto del beato Girio. Per assolvere tale compito l’erudito santese risiedette a Roma dal 1740 al 1741 e, grazie alla sua opera, la S. Congregazione dei Riti concesse officii et missae in honorem beati Gerii nel 1743 (Urbanelli, 1988, p.472, nota 6). Dalla consultazione del testo I cappuccini a Potenza Picena risulta che una tela raffigurante il beato Girio, realizzata nella seconda metà del secolo XVIII forse a opera della bottega del fermano Filippo Ricci (1715-1793), sia conservata all’interno del convento potentino. Stando agli scritti di padre Giuseppe da Fermo, a cui gli autori fanno riferimento, i cappuccini fecero eseguire questo quadro a ricordo dell’opera del p. Costantini e per devozione verso il beato, considerato, perché terziario francescano, loro “confratello” (Monelli, Santarelli, Urbanelli, 1993, p.129).

Olio su tela del XVIII secolo raffigurante il Beato Girio (cm 140×96). Il dipinto è conservato presso il convento dei frati cappuccini di Potenza Picena.
Definito nella Biblioteca Picena come un dotto religioso preso dal genio verso l’antichità (Vecchietti, Moro, 1793, p.314), il Costantini fu uno studioso molto apprezzato nel suo tempo, autore di interessanti ricerche a cui molti eruditi hanno fatto riferimento. Tuttavia, all’entusiasmo di “scavar tra le sue carte”, si accompagna talvolta una nota di sconforto dovuta allo smarrimento di alcuni suoi scritti. Nelle Antichità picene Giuseppe Colucci (1752-1809) affermò infatti che P. Costantini ha scritto ancora separatamente intorno a questo Santo, ma neppur questo mi fù voluto mostrare, precisando in tal modo che non ebbe possibilità di consultare sia il testo agiografico che la raccolta di documenti riguardanti Monte Santo (Colucci, 1795, p.247). Della difficile reperibilità di quest’ultima opera, stampata nel 1742 a Ronciglione per i tipi del Poggiarelli e attualmente ritenuta dispersa, ne fa menzione anche Carlo Cenerelli Campana (1773-1859) nella sua Istoria, riferendo che anche il conte Monaldo Leopardi (1776-1847) cercò di rintracciarla ma dopo infinite ricerche dovette persuadersi, che con affetto non era stata redatta (Campana, 1852, pp.137-138). Riguardo san Girio il Cenerelli Campana ne traccia un sommario quadro agiografico, facendo cenno alle prime tappe che ne affermarono il culto e ribadendo il valido apporto offerto dal Costantini alla storia di questo santo (Campana, 1852, pp.146-147).
Del dotto religioso ne fa spesso menzione nelle sue lettere anche il marchese Filippo Bruti Liberati (1791-1867), reclamando in più d’una il desiderio di trovar le carte di una poco nota storia della sua Patria (Bruti Liberati, 1839, prima lettera, p.9) indicando nella settima lettera il percorso di ricerca di quest’opera. Nella decima ritorna sul Costantini, ribadendo che assai si occupò di S. Girio Protettore della sua patria, a cercare notizie, e promuoverne il culto e apponendo in nota a questo passo che dal conte Monaldo Leopardi fu pubblicata un’antica Leggenda di S. Girio. C’è da ricordare a proposito che il corpo del santo venne conteso tra la popolazione santese e quella recanatese e la conoscenza di questa vicenda così come del testo del Marinucci da parte del conte Leopardi è ben nota e se ne ha conferma anche negli Annali (Leopardi, 1993a, pp.11-12, nota l).
Sulla Vita de Santo Gerio Franzese di Monaldo Leopardi

Frontespizio del Memoriale di frate Giovanni di Niccolò da Camerino, pubblicato dal conte Monaldo Leopardi. Edizione del 1833.
Riguardo il giovane di Lunel e la sua antica leggenda, Monaldo Leopardi diede alle stampe nel 1828 e poi nel 1833 il Memoriale di frate Giovanni da Camerino nel quale era contenuta La vita de Sancto Gerio Franzese. Lo scritto agiografico, come il conte riferisce, faceva parte di un codice medievale conservato presso la sua biblioteca, acquistato insieme a molte altre carte provenienti da beni ecclesiastici soppressi dalle leggi napoleoniche (Leopardi, 1833, p.5). Adottando un “prudente” volgare marchigiano come linguaggio narrativo, la prima edizione del Memoriale ottenne positivi riscontri da parte di alcuni letterati dell’epoca: Il Vieusseux e il Giordani ne furono entusiasti, così come Giuseppe Ignazio Montanari e Domenico Vaccolini che lo giudicò cosa del beato trecento (Leopardi, 1993b, p.10); diffidente invece fu il parere di Niccolò Tommaseo in merito all’utilizzo di alcuni vocaboli ritenuti di dubbia origine e sui quali la Crusca avrebbe dovuto indirizzare la sua attenzione. Il parere di quest’ultimo centrava la questione sollevando il dubbio in merito all’autenticità dello scritto, rilevando che questo memoriale di frate Giovanni ha un certo sapore, odore, e colore d’antichità, che…Ma poi, ripensandoci, in alcune pagine, ha tanta finezza, tanta malizia, che… La questione è difficile! – Se si trattasse d’un frate toscano, io potrei dire: i fra Giovanni in Toscana nella seconda metà del Trecento non iscrivevan così: ma si tratta di un frate da Camerino; e chi sa come nel trecento scrivessero i frati da Camerino? (Covino, 2009, vol.I, pp.265-266). Va infatti detto che La vita de Sancto Gerio Franzese (e più in generale il Memoriale) vennero man mano esaminati da vari studiosi che ne confermarono la falsità. La vita de Sancto Gerio, composta da Monaldo Leopardi sulla base dell’agiografia del Marinucci, fu in pratica la risposta alla provocazione lanciata da suo figlio Giacomo con il Martirio de’ Santi Padri. Se vogliamo, possiamo quindi considerare queste opere come “atti di sfida” con i quali i due Leopardi si fronteggiarono in un duello erudito che trova nel panorama letterario italiano ottocentesco altri e interessanti esempi di contraffazioni testuali (Covino, 2009). Va comunque notata l’abilità di Monaldo nel saper giocare con le rarefatte atmosfere in cui le vicende storiografiche riferibili al santo sono immerse, sviluppando inoltre attorno ad esse una delicata trama giocata sull’arte della simulazione e del non detto. La fioca luminosità che avvolge quegli antichissimi Atti sollevarono la curiosità di Giacomo che, con “elegante ed occultato furore”, chiese al padre nella lettera del 1 marzo del 1826 se gli sapesse dir qualche cosa circa il tempo in cui si sa o si crede che sia vissuto quel San Gerio, ponendo in tal modo l’accento su una questione a lungo discussa dai bollandisti, ovvero sulla contemporaneità tra san Girio e san Liberio i cui apocrifi atti ne sollevavano legittima dubbiosità.
Due bollandisti nella Marca
Tale dibattito trova origine nel XVII secolo con i gesuiti Daniel Papebroch (1628-1714) e Godefroid Henschen (1601-1681), i due padri bollandisti che XVII secolo viaggiarono nella Marca con lo scopo di raccogliere informazioni e documenti per la compilazione degli Acta Sanctorum. Riferimenti sur le actes de S. Geri, pelerin, natif de Lunel si trovano nella nota XXXVIII dell’Histoire générale de Languedoc: in essa viene fatto riferimento al parere di Filippo Ferrari (1551-1626) che ritenne soggette a critica alcune choses peu vraisemblables contenute negli antichi atti della vita del santo. Senza entrare nel merito della discussione gli autori dell’Histoire preferirono citare Henschen affidandosi cautelarmente al suo giudizio: je n’y trouve rien qui mérite une si grande censure (Histoire, 1737, p.594).
Di tutt’altro parere fu invece Agostino Peruzzi (1764-1850) nella sua dissertazione su La chiesa anconitana. Opponendosi al parere dei gesuiti e a quello di Edoardo Corsini (1702-1765), affermò che il Liberio nostro non è il compagno di s. Geri nel secolo decimoterzo, come il Papebrockio congetturò, non il compagno di s. Gaudenzio nell’undicesimo, come il Corsini e gli annalisti camaldolesi congetturarono, ma sì il santo romito, quale l’anconitana tradizione ebbelo sempre, anteriore al secolo stesso di s. Marcellino, e val dire al sesto (Peruzzi, 1845, p.29).
Oggi si conviene che i due santi siano vissuti in periodi differenti: Girio (Gerio, Rogerio) nel XIII secolo e Liberio (Liverio, Oliviero) anteriormente all’anno mille. Su quest’ultimo nella Bibliotheca Sanctorum viene riportato che gli Atti, che ne possediamo e a cui si sono ispirate anche le lezioni del Proprium anconitanum, contengono, secondo il giudizio del bollandista Papebroch, elementi chiaramente favolosi e non risalgono oltre il sec. XIII; non è da accertarsi, peraltro, l’ipotesi dello stesso, che il santo sia un eremita o canonico del sec. XIII. Basti ricordare che l’invocazione in onore di s. Liberio appare nei frammenti di alcuni «usi liturgici» anconitani, certamente anteriori al mille; una chiesa in suo onore è ricordata in un documento del 1051 e la figura del santo appare accanto a quella di altri santi anconitani in una lastra graffita del sec. XI-XII (Bibliotheca sanctorum, VIII, pp.24-25).
Riguardo alcune vicende riferibili alla vita di san Girio il Burchi non usa mezzi termini, considerandole una leggenda fantastica e niente affatto originale, da cui non si può trarre nessun dato sulla vita del santo. L’accenno a s. Liberio di Ancona non aiuta perché la sua vera identità è sconosciuta. La sola cosa certa è il culto a Montesanto, antico di molti secoli, e confermato da Benedetto XIV nel 1742 (Bibliotheca sanctorum, VI, p.222). La figura di san Girio assume quindi attualmente dei caratteri complessi, che la collocano in un settore “problematico” della storiografia religiosa perché avente un’identità documentaria dai tratti incerti, fragili e a volte poco definiti (Grégoire, 2013, p.79).

Polittico del XV secolo di Pietro di Domenico da Montepulciano (cm 129×214). Si noti sulla destra l’immagine di san Girio.
Perdite e smarrimenti
Delle remote vestigia attribuibili al culto di san Girio nelle nostre contrade, si ricorda che la più antica effige attualmente conosciuta risale al XV secolo ed è identificabile in un polittico realizzato da Pietro di Domenico da Montepulciano, collocato originariamente all’interno della Pieve di Santo Stefano. Anche in questo caso il Bruti Liberati fa presente nella terza lettera sopra Monte Santo che dopo la demolizione dell’antica Pieve, indi Collegiata, situata in Piazza, fu trasportata in questa Chiesa una tavola, che se non avrà altro pregio, avrà quello dell’antichità, essendo stata da due Pittori riportati nel Processo della Causa avanti la Congregazione de’ Riti nell’anno 1741. Se di quest’opera dal valore per noi inestimabile (venduta a un privato nel 1974) rimane il rammarico e uno sbiadito “necrologio” che ne sancisce in maniera ufficiale la perdita, del mancato ritrovamento dei resti del corpo di san Girio si avverte l’eco di una parola incerta, trattenuta dal palpito di un’ipotesi che sfuma in un silenzio imperscrutabile.
Sulla Pieve di Santo Stefano, secondo uno scritto inedito di Mons. Giovanni Cotognini (1908-1991), nel 1714 i resti del corpo che si disse di s. Girio per il fatto che una lapide lo diceva chiaramente venne trovato dal pievano don Lorenzo Vecchini e questi per ragioni non dettate da prudenza allontanò gli operai e fece scomparire ogni traccia. Della questione si interessarono negli anni seguenti in molti: primo fra tutti Domenico Mozzoni da Montefiore successore del Vecchini e nel 1732 venne fatta un’inchiesta dall’arcivescovo di Fermo Alessandro Borgia che ne diede incarico a Mons. Alessandro Buonaccorsi (1663-1737). Da come scrive il Cotognini le indagini durarono alcuni giorni e furono interrogati 15 testimoni e tutti affermarono che il corpo di S.Girio era stato trovato e che il pievano lo aveva di nuovo nascosto. Riponendo forse tra le righe il desiderio di stimolare maggiori e più approfonditi studi sulla ricerca di questo corpo, l’autore da testimonianza di una nota posta nel libro X dei Battesimi a fianco dell’atto, n°110, a p.164: “Il primo battesimo amministrato nel Battistero di nuovo rimosso dal luogo dove l’avevo fatto trasportare il 17/4/1720, perché nel luogo dove era stato posto, luogo che era sotto l’arco con le pitture della B.V. e di S. Girio, c’era il tumulo di detto Santo, il cui corpo ritrovato nel tempo in cui dal R. Vecchini Pievano, si costruiva in un muro della cappella il Cimitero, fu poi rubato, ex testium depositionibus.

Medaglia in ricordo della prima festa in onore di san Gérard. L’iscrizione riporta: S. GÉRARD DE LUNEL PRIEZ POUR NOUS – 1837.
Il pellegrino di Lunel
Noto d’oltralpe come Gérard, l’interesse attorno alla figura di san Girio è in Francia decisamente più recente. Il suo culto fu introdotto nella diocesi di Montpellier dal vescovo Charles-Thomas Thibault e la prima festa in onore del santo avvenne l’8 giugno del 1837. In quell’occasione venne coniata una medaglia con l’effigie del santo posto in atteggiamento meditativo all’interno di una grotta nei pressi di Pont du Gard (Guérin, 1872, p.148). Tale grotta sarebbe secondo il parere di Adolphe Auguste Roüet, quella di Balauzière. Il sito, di particolare interesse archeologico per il ritrovamento di tracce di occupazione umana risalenti al paleolitico, è dal 1958 classificato come monumento storico.
Merito di questo rinnovato interesse per la figura del giovane pellegrino lo dobbiamo a due religiosi nativi di Lunel: l’abate Berlen e il sacerdote Farnarier che, costretti ad abbandonare la loro terra dalla furia rivoluzionaria, ebbero modo di venire a conoscenza del culto e dell’ampia devozione che aveva il santo nella Marca. Da come riferisce il Roüet, Berlen attinse le informazioni relative alla vita del santo da un’edizione écrite en italien et imprimée à Rome en 1760 (ovvero dal testo del Marinucci) e, ritornati in Francia, diedero alle stampe nel 1838 per l’editore Seguin di Montpellier, la Vie de Saint Gérard de Lunel (Roüet, 1878, p.148, nota 1). Del testo ne fa ampia menzione l’abate Roüet nel suo Notice sur la ville de Lunel au moyen-age et vie de saint Gérard seigneur de cette ville au XIII° siècle stampato nel 1878.

Copertina del libro di Adolphe Auguste Roüet. Montpellier 1878.
In esso, oltre alle notizie relative sia alla vita del santo che alle fonti documentarie che hanno caratterizzato la nascita e la diffusione del suo culto nelle diocesi di Fermo e di Montpellier, risulta di particolare interesse la trascrizione di importanti documenti quali: il decreto di papa Benedetto XIV relativo alla canonizzazione di san Girio, le due bolle di papa Pio VII e un’agiografia del santo scritta da Antonio Maria Costantini. Vi è poi il testo in latino degli atti di s. Girio, seguiti da una “vita” scritta da Matteo Masio dell’ordine degli eremiti di Sant’Agostino. Il libro dell’abate Roüet si rivela quindi un autentico scrigno, che presenta molti particolari di una storia in parte conosciuta ma della quale ci propone un punto di vista inedito, capace di svelare anche vicende a noi poco note come quella che fa riferimento alla donazione alla chiesa parrocchiale di Lunel di una delle due reliquie del santo, utilizzate dal canonico santese Terenzio Pierandrei (1770-1830) per benedire i malati di epilessia (Roüet, 1878, pp.196-201).

Dipinto raffigurante saint Gérard (San Girio) conservato all’interno della Chiesa di Notre-Dame du Lac di Lunel. (Foto Mathilde Delprat)
Tracce
A seguito dei contatti avuti con la sig.ra Mathilde Delprat, segretaria della parrocchia di St. Philippe Vidourle, non risulta che nella chiesa di Notre-Dame du Lac a Lunel ci sia la reliquia di san Girio; motivo di tale mancanza rimane a lei ignoto, così come del fatto che al posto di quella di san Girio ci sia quella di st. Fructueux. Certa è invece la presenza di una statua e un dipinto della prima metà del XIX secolo che raffigura il santo in preghiera nel suo romitorio. La tela appare in un discreto stato di conservazione ed è riconoscibile nell’angolo in basso a destra il periodo nel quale è stata realizzata. Sembra infatti che la data apposta faccia riferimento agli anni trenta dell’ottocento, periodo di particolare importanza per il culto del santo nella città.
Recentemente è stato pubblicato nel quotidiano regionale Midi Libre un articolo che illustra la ricerca condotta dal sig. Gérard Mathan in merito alle origini di saint Gérard. Innescata dalla consultazione del libro stampato nel 1838 dall’abate Berlen appartenuto ai suoi familiari, l’indagine si è rivolta inevitabilmente verso la nostra terra riallacciando, grazie all’intermediazione del sig. Claudio Galleri direttore del Museo Médard di Lunel, le trame di eventi remoti e rivelando una molteplicità di sopravvivenze che affiorano nelle pagine di una storia comune.
Si ringraziano Marco Campagnoli e Paolo Onofri per i preziosi suggerimenti. Un particolare ringraziamento è rivolto a Mathilde Delprat per aver gentilmente concesso la pubblicazione della foto del dipinto di saint Gérard.




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