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Di Mons. Giovanni Cotognini

quadro di San Girio

25 maggio – S. Girio. A questa data, a questo nome, si presenta alla nostra fantasia tutta una storia di bontà, di virtù, di santità, di grazie. Nella Baronia di Lunello (città della Francia) è nato un bimbo; è sbocciato un fiore: un bimbo che, cresciuto negli anni, dovrà venire qua a terminare i suoi giorni; un fiore che il divino giardiniere trapianterà nella nostra terra: S. Girio. Tra gli agi e le comodità in cui si trova sente la voce del mondo che lo invita a godersi la vita; ma sente pure la voce di Dio che gli ripete: vieni e seguimi; avrai un tesoro che nessuno potrà mai rapirti. A questa voce Girio tende l’orecchio; questo invito conserva nel cuore, finché, giunto il momento opportuno, tutto abbandona e, in compagnia del fratello Effrendo, comincia la vita di pellegrino. E sarà vita di disagi e contrassegnata da prove.

La prima tappa è un ponte costruito dai Romani sul fiume Gardone. Ai piedi del ponte vi sono due nicchie simili a caverne. Vengono scelte a dimora e lì attendono alla preghiera e alla meditazione delle verità eterne. Di là uscivano per mendicare, tra gli sparsi casolari, il sostentamento alla vita. Ma ecco che la fiducia dei due fratelli nella Provvidenza viene messa alla prova. Continue piogge gonfiano il fiume, impediscono ai due eremiti di uscire dalle grotte. Privi di tutto, con che cuore avranno ripetuto: “dacci oggi il nostro pane quotidiano”. E la preghiera è subito esaudita; e la fiducia è premiata. Due serpenti appaiono sull’acqua; portano in bocca del pane, si avvicinano alle grotte e lasciano il cibo che Dio manda ai suoi servi. Cessate le piogge, i pellegrini si mettono in cammino. La meta è Roma. Parte del viaggio viene fatto per mare; parte per terra. Ma l’uno e l’altro viaggio sono contrassegnati da dure prove: il viaggio in mare viene funestato da furiosa tempesta, che mette in serio pericolo i naviganti; il viaggio di terra dallo smarrimento della via. Ma non è scossa la fede di Girio. “Invoca me in die tribulationis…” dice il Signore, e Girio implora aiuto, e l’aiuto non tarda a venire e a consolare. Nel mare la tempesta si calma; nel bosco presso Viterbo, dove si erano sperduti, ecco sbucare un’orsa che, come cane fedele, guida per più di quattro chilometri i pellegrini e li riporta sul giusto cammino.

E così giungono a Roma. A Roma, mentre visitano le tombe degli Apostoli, nei luoghi santificati dai martiri, sentono parlare di un certo Liberio, uomo di grande santità, che è in Ancona e ha desiderio di visitare la Palestina. Girio subito lascia Roma per vedere Liberio ed unirsi a Lui nel pellegrinaggio. Visitare i luoghi santi è stato sempre il suo sogno. Potesse ora realizzarlo!! E avanza Girio, seguito dal fedele fratello Effrendo, verso le nostre Marche. Vieni pure o servo del Signore. Montesanto ti aspetta. Qui troverai la volontà di Dio, ti sbarrerà la strada e tu porrai termine al tuo cammino! Un dolore di capo che affliggeva Girio da qualche tempo, si fa più grave e fastidioso. Arrivati i due fratelli in questa nostra zona, sono costretti a fermarsi; Chiedono ospitalità e passano la notte in una cascina. Al mattino Girio vuole riprendere la strada verso Ancona, ma al fiume Potenza non ne può più; si accascia a terra e guarda sorridendo il cielo. È l’ultima ora. Effrendo corre in cerca di aiuto, ma tutto è inutile. Girio reclina il capo e muore. A Montesanto le campane agitate da mani invisibili suonano a distesa. E la gente accorre. Anche da Recanati viene gente. Tra i due popoli succede un litigio per il possesso del corpo. Un bimbo per la prima volta parla e consiglia di porre il corpo su di un carro tirato da giovenche mai attaccate al giogo. Così si fa. Fra la trepidazione e il silenzio di tutti, le giovenche volgono il cammino verso la nostra terra. Qui il corpo di Girio viene sepolto. Sul corpo di Girio, da tutti chiamato santo, viene eretta una chiesa. Questa chiesa diviene meta di pellegrinaggi e centro di attenzioni da parte della municipalità. E mentre vengono, da Montesanto e dai paesi vicini, devoti a chiedere grazie, il municipio vigila che tutto abbia a procedere con ordine e con decoro; che le offerte lasciate dai fedeli servano al mantenimento della chiesa e a provvedere il necessario per il culto divino, e sceglie sindaci, amministratori, deputati, perché provvedano a tanto. E perché l’ufficiatura della chiesa sia continua, pensa a collocarvi dei religiosi. Agostiniani, carmelitani, servi di Maria, si succedono nel servizio di questa chiesa. Solo quando nel 1652 Innocenzo X sciolse le piccole comunità si mise qui un sacerdote secolare come cappellano, che poi, nel 1739, divenne parroco.

Quadro di Sant’Ignazio e San Girio a restauro ultimato. Foto Ars Nova.

Ma non basta. Il municipio vuole anche pubblicamente manifestare la propria devozione al santo e ne stabilisce, con una serie di norme, le modalità. Il 25 maggio è giorno festivo; e per avere gente in numero maggiore anche dai paesi circonvicini, si chiede al Papa Paolo V di poter fare pure una fiera (10/01/1606). Per impedire disordini si mandano cinquanta soldati a custodire la chiesa dalla mattina alla sera. Il clero con processione solenne, il municipio in forma ufficiale, partono da Montesanto e si recano in questa chiesa, e il municipio offre il suo dono in segno di sudditanza e di devozione. Simbolico segno i ceri. Ardendo significano l’amore che si porta al santo; ma stanno lì pure a ripetere la preghiera da noi recitata all’altare.

La giornata era rallegrata da spari e chiusa dall’accensione di fuochi. Cose tutte che vedete istoriate in questa chiesa divenuta, per lo zelo del vostro parroco, una delle più belle chiese rurali dell’arcidiocesi nostra. Queste cerimonie dovettero durare fino al 1860. Poi, per le note vicende politiche, furono sospese. Oggi per interessamento dell’Amministrazione Comunale, la tradizione è stata ripresa, e si rivede la municipalità venire in forma ufficiale a venerare S. Girio e a ripetere l’offerta dei ceri. Sotto le mode antiche voi scorgete visi ben noti. Si è voluto così unire il passato al presente; colmare una lacuna; gettare un ponte sull’incrinatura prodotta dall’ondata anticlericale del nostro risorgimento.

Atto di ossequio perché S. Girio è il compatrono della nostra città.

E compatrono significa: custode, difensore della città; avvocato presso il trono di Dio; signore della città. Se lui è il signore, noi i sudditi; se lui il difensore, noi i difesi; se lui l’avvocato, noi i clienti.

Doveroso dunque il nostro ossequio. Ma fra tanti titoli un altro ce n’è. Alunni, e tali dobbiamo essere, se vogliamo che S. Girio continui a proteggerci. Lui pellegrino, pellegrini noi pure, verso la terra santa e noi verso il cielo. Portiamoci spesso col pensiero verso questa patria se vogliamo salirvi con l’anima dopo la nostra morte.

Fugge il mondo; fuggiamo noi pure, non la società, ma quella parte della società che è nemica di Dio e del Vangelo, l’armento di Satana; lui sottomesso ai voleri del cielo; fidente sempre nella Provvidenza divina. Nelle prove pubbliche e private in cui potremo trovarci non perdiamo la fiducia in Dio; attendiamo all’adempimento dei nostri doveri e siamone pur certi, dopo le tenebre, tornerà la luce; dopo le nubi risplenderà il sole. Questi gli insegnamenti di S. Girio. Ascoltiamoli e mettiamoli in pratica. E perché questo avvenga, oh! S. Girio, pregate per noi.

È stato detto che tutto quello che si racconta di S. Girio sia immaginario; che la stessa figura del santo sia leggendaria.

Non sembra che l’autore di tale frase, abbia centrato il bersaglio.

Troppi argomenti ci sono per mostrare il contrario.

Intanto del giovane Gerardo o Girio, ci parla un antico manoscritto di Lunello, patria del nostro santo; della famiglia di lui, ci parla Memoir de l’histoire du Languedoc, di Guillaume de Catel, p.343 (Cfr. Della vita, culto, e miracoli di s. Girio confessore specialissimo protettore di Monte Santo nel Piceno, per Gioacchino e Gio. Giuseppe Salvioni stampatori vaticani, Roma 1766, p. 2).

Di S. Girio morto e sepolto in territorio di Montesanto, tra il 1298 e 1299, parlano immagini, atti consiliari, il culto immemorabile prestato al santo ecc. Infatti:

  1. sul sepolcro di S. Girio venne subito costruita una chiesa e, nel 1326, questa, perché minacciava rovina, venne visitata da Ugone Bonis, tesoriere della Marca Anconitana, per ordine di Giovanni Diacono cardinale di S. Teodoro, Legato della Sede Apostolica;
  2. nel 1377, il consiglio comunale di Montesanto stabilì di festeggiare S. Girio il 25 maggio;
  3. nel 1400 abbiamo un’altra effigie di S. Girio che assieme alle effigi di S. Michele Arcangelo e S. Stefano, sta attorno alla Vergine. La pittura è di Pietro da Montepulciano (Cfr. Rotondi, Argomenti di Arte Marchigiana, Fabriano, 1936);
  4. gli statuti della comunità, del 1431, stabiliscono di considerare festa di precetto il 25 maggio e dànno norme per la celebrazione di tale festa;
  5. nel 1463 si pensava di mettervi i PP. Minori a servizio della chiesa e Pio II° (che era stato Vescovo di Fermo) accolse la richiesta di fabbricare un convento a fianco della chiesa. Il Papa nella Bolla che porta la data 27/07/1463, ma che fu spedita il 01/06/1466 (e la Bolla si può vedere nell’Archivio Vaticano) dice che nella chiesa riposa il Corpo di S. Girio; che Iddio, per intercessione del santo vi opera moltissimi miracoli; che la chiesa è meta di pellegrinaggi…
  6. Dovendosi riparare la chiesa, il consiglio comunale, nel 1480, diede ordine, qualora si fosse trovato il corpo del santo, di trasportarlo in paese, alla pieve, per poi riportarlo a posto a lavori ultimati.
    Non sappiamo cosa sia avvenuto. Nessuna meraviglia. A quel tempo si consideravano i corpi dei santi come preziosi tesori; si tenevano nascosti e segreti per paura di trafugamento.
  7. Nel 1523, il Card. Colonna, patrono della chiesa di S. Girio, ne trascurava il decoro. La comunità, con atto consiliare, spedì una commissione al Papa Adriano VI perché con la sua autorità costringesse il Cardinale a rinunciare al patronato.
  8. Nel 1774, nella pieve di S. Stefano, mentre, per costruire un sepolcro, si stava scavando nella cappella di S. Girio, così chiamata per un’immagine e un altare che vi erano di detto santo, per il cadere di una lama di terra si scoprì un loculo, dove era un corpo che si disse di S. Girio per il fatto che una lapide lo diceva chiaramente. Il pievano dell’epoca, don Lorenzo Vecchini, per ragioni non dettate da prudenza, allontanò gli operai e fece scomparire ogni traccia. Il fatto non finì lì; dovette destare ammirazione, se ne dovette parlare a lungo. L’immediato successore del Vecchini, don Domenico Mozzoni, venuto da Montefiore a reggere la pievania di S. Stefano, nel 1717, dovette sentire raccontare il fatto da testimoni oculari, non escluso il M.R.D. Francesco Antonio Clari, cappellano del Vecchini nel 1714 e poi economo spirituale. Il Moroni, nel Libro X dei Battesimi, a fianco dell’atto n. 110, a p. 164, mise questa nota:
    Il primo battesimo amministrato nel Battistero di nuovo rimosso dal luogo dove l’avevo fatto trasportare il 17/4/1720, perché nel luogo dove era stato posto, luogo che era sotto l’arco con le pitture della B.V. e di S. Girio, c’era il tumulo di detto santo, il cui corpo ritrovato nel tempo in cui dal R. Vecchini Pievano, si costruiva in un muro della cappella il Cimitero, fu poi rubato, ex testium depositionibus.
    Se non fosse stata una cosa seria, avrebbe il pievano messo una nota del genere a fianco di un atto di Battesimo?
    Nel 1732 lo stesso arcivescovo di Fermo Alessandro Borgia, fece fare una inchiesta e ne diede incarico a mons. Alessandro Buonaccorsi. Le indagini durarono dal 07/10 al 12/11. Furono interrogati quindici testimoni e tutti affermarono che il corpo di S. Girio era stato trovato e che il pievano lo aveva di nuovo nascosto (arch. della curia di Fermo).
  9. Il 01/08/1742 venne approvato il culto immemorabile; nel 1743 venne concesso al clero di Montesanto di celebrare il 25 maggio l’Ufficio e la Messa di S. Girio.
  10. Il 10/03/1893 la S.C.R. concesse le lezioni proprie al clero di Potenza Picena e S. Pio X le concesse pure al Terzo Ordine Regolare.
  11. Alla Biblioteca Vallicelliana di Roma, Pos. 3, p. 145, ci sono gli Atti della vita di S. Girio, Atti che furono copiati da Girolamo Ridolfi da […] nel 1326.
    Il Catalani nel De Ecclesia Firmana eiusque Episcopis et Archiepiscopis Commentarius, Firmi, 1783, a p. 51 dice che Henschenius Bollandienus, parlando di questi Atti di S. Girio, così si esprime: “Ego quod censuram magnopere mereatur, nihil in iis reperio”.
  12. Il Lamonnier, nelle Memorie, a pag. 315, 316, parla di S. Girio, che condusse vita angelica nel castello paterno e morì in odore di santità a Montesanto (Cfr. “La Verna”, rivista francescana, anno I°, n. 5, ottobre 1903, p. 292).

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A cura di Simona Ciasca e Paolo Onofri.

Mons. Giovanni Cotognini

Mons. Giovanni Cotognini (all’anagrafe Giovanni, Euro, Renato) nasce a Potenza Picena il 3/12/1908 in Via S. Croce n.237, da Giuseppe, calzolaio e da Piatti Caterina, casalinga.

Aveva altri fratelli e sorelle: Delia, Igina, Fernando, Gustavo, Rosa e Nerina.

Dopo aver frequentato le scuole locali con il M° Renato De Angelis, entra in seminario a Fermo e successivamente si laurea in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Viene nominato Cappellano a Torre S. Patrizio nella Parrocchia di S. Salvatore, Rettore del Santuario della Madonna delle Grazie di Potenza Picena, Parroco a Calderette Ete di Fermo (Ponte Ete) nella Parrocchia Immacolata Concezione. Assistente Diocesano delle Suore dell’Istituto “Figlie SS. Redentore e B.V. Addolorata” di Potenza Picena, Presidente e guida spirituale delle “Figlie di Maria”, Associazione femminile locale costituita l’8 settembre 1908 ed estinta alla fine degli anni Cinquanta del Novecento, è stato per molti anni anche membro del Tribunale Matrimoniale Ecclesiastico Regionale e Professore di Lettere all’Istituto Magistrale “Bambin Gesù” di Fermo, oltre che Professore di Diritto in Seminario. È stato insignito dell’onorificenza Pontificia di “Cappellano del Papa”. Socio dell’Accademia dei Catenati, cultore di storia e di memorie locali, ha effettuato dei lavori di ricerca basandosi esclusivamente sulla consultazione dei documenti d’archivio.

Ha pubblicato nel 1953, per la Deputazione di Storia Patria per le Marche, una ricerca sulla Sacra Rota di Macerata e nel 1973 uno studio su “L’organo e la Schola Cantorum di Potenza Picena”. Da un suo dattiloscritto del 1971 sulla storia del Monastero delle Benedettine di Potenza Picena, è stato stampato nel 1988 un bellissimo libro. Insieme a Suor Maria Candida Italiani e Don Giovanni Carnevale S.D.B. ha scritto la storia delle Suore dell’Istituto “Figlie SS. Redentore e B.V. Addolorata” di Potenza Picena andata in pubblicazione nel 1991. Ha lasciato un interessante lavoro di ricerca su “Il Capitolo dell’Insigne Collegiata di S. Stefano di Monte Santo” da noi pubblicato nel 2009 sul blog “Isantesi”, grazie alla disponibilità di sua nipote Marisa Principi, figlia della sorella Nerina.

È morto a Potenza Picena il 15/3/1991.

Per le sue qualità di uomo di cultura e fine ricercatore, per i suoi lavori di approfondimento storico delle memorie locali, Mons. Giovanni Cotognini deve essere considerato, insieme a Norberto Mancini, uno dei più importanti storici di Potenza Picena del Novecento.

Con questo articolo pubblichiamo il testo integrale del suo lavoro di ricerca storica sulla Sacra Rota di Macerata, estratto dagli atti e memorie della Deputazione di Storia Patria per le Marche, serie VII- Volume VIII – 1953.

La sorella Igina Cotognini e gli eredi nel 1995 hanno donato al Comune di Potenza Picena 5 pubblicazioni appartenute a Mons. Giovanni Cotognini: “Potentini Illustri” di Norberto Mancini del 1950, “La Vergine delle Grazie venerata nel suo Santuario” di Padre Nazzareno Pistelli del 1943, “Orazione a lode dell’Eminentissimo e Reverendissimo sig. Cardinale Mario Compagnoni Marefoschi, recitata nell’Accademia dei Catenati di Macerata tenutasi nel Palazzo Pubblico il dì XXX dicembre 1771 pubblicata da Domenico Quercetti di Osimo nel 1772”, “Padre Pietro Carlucci, o.f.m., nel primo centenario della nascita”, di Padre Armando Pierucci, Treia 1983, “Nel primo centenario della denominazione del Comune di Potenza Picena” 1862-1962, di Dante Cecchi, Fermo 1963.

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di Simona Ciasca e Paolo Onofri

Casa Parrocchiale sul piazzale S. Stefano. Foto di Sergio Ceccotti.

Casa Parrocchiale sul piazzale S. Stefano. Foto di Sergio Ceccotti.

Stanno procedendo celermente i lavori sull’Oratorio e la casa parrocchiale portati avanti dalla Parrocchia dei Santi Stefano e Giacomo di Potenza Picena.
Dagli inizi del mese di Aprile 2017 è stata smontata sia l’impalcatura che la gru dell’impresa Paccaloni di Potenza Picena che era collocata davanti alla facciata del palazzo della casa parrocchiale, posta a fianco della Collegiata di Santo Stefano.
Il Palazzo esteriormente si sta mostrando in tutta la sua bellezza, grazie ai lavori che sono stati eseguiti con molta professionalità dall’impresa locale. Oltre alla facciata, è stato sistemato il tetto e si è proseguito con i lavori all’interno del fabbricato. L’inaugurazione della casa parrocchiale e dell’Oratorio Carlo Acutis è prevista per Domenica 25 Giugno 2017.
Qual’è la storia di questo straordinario Palazzo posto in questo ampio piazzale a fianco alla Collegiata?

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Casa Parrocchiale sul piazzale S. Stefano. Foto Bruno Grandinetti. Prop. fototeca Comunale.

Mons. Giovanni Cotognini nella sua storia dell’Insigne Collegiata di Santo Stefano del 1951, da noi pubblicata integralmente sul blog, ne aveva già parlato.
Secondo lui il Palazzo risale al 1900 ed è stato fatto costruire dal prevosto don Giuseppe Gironelli, a sua spese.
Don Giuseppe Gironelli, nato a Morrovalle il giorno 11/9/1853, è venuto a Potenza Picena nel 1890, ed ha assunto la carica di
Prevosto della Collegiata, che ha lasciato solo alla fine del 1921, per rinuncia. E’ morto nella nostra città il giorno 14/2/1941. Era stato nominato dal Pontefice PIO XI Prelato Domestico di S.S. il giorno 2/6/1928.
Oltre al Palazzo della casa parrocchiale ha donato alla Parrocchia di Santo Stefano anche gli altri due fabbricati di Via S. Marco e che oggi costituiscono l’Oratorio parrocchiale.
Dai documenti dell’archivio storico comunale di Via Trento è emerso che la costruzione di questo Palazzo nel piazzale di Santo Stefano, era stato fonte di un ricorso presso la Prefettura di Macerata. Nel ricorso si mettevano in risalto in particolare due problemi: il primo era l’impatto del nuovo fabbricato con la facciata in cemento attaccato alla Collegiata di Santo Stefano, struttura cinquecentesca in mattoni(Indubbiamente stona), il secondo problema riguardava la proprietà del muraglione posto sopra l’orto dove era stato costruito il Palazzo; per il nostro Comune questo muraglione era una sua proprietà. Il Prefetto di Macerata, in accordo con le parti, per poter trovare una soluzione nominò un perito, nella persona dell’ingegnere provinciale Ciarapica, il quale, dopo approfondite ricerche d’archivio, arrivò alla conclusione che il muraglione era di proprietà della Parrocchia e non del nostro Comune e quindi la costruzione del Palazzo era legittima. L’ingegnere Ciarapica ha comunicato alle parti la sua decisione il giorno 26/10/1901.

mons.-giuseppe-gironelli

mons.-giuseppe-gironelli

La proprietà di questo Palazzo, insieme agli altri due di Via S. Marco, è passata alla Parrocchia di Santo Stefano il giorno 27 Settembre 1934, con atto del notaio dott. Filippo Bocci di Potenza Picena e registrato a Recanati il giorno 16 Ottobre 1934, atto n° 108. Se oggi la nostra comunità parrocchiale può utilizzare questi locali della casa parrocchiale del piazzale Santo Stefano e quelli di Via San Marco è grazie alla generosità di Mons. Giuseppe Gironelli.
Per ricordarlo sarebbe opportuno collocare sulla parete una targa che renda omaggio a questo sacerdote, oppure intitolargli una parte dei locali, esponendo una sua foto.

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a cura di Simona Ciasca e Paolo Onofri

Monache Benedettine

Le monache Benedettine di Potenza Picena

Nel 1980, in occasione del XV Centenario della nascita di San Benedetto (480 – 1980) è stato pubblicato un opuscolo contenente notizie molto interessanti riguardanti tutti i monasteri benedettini di Abruzzo, Marche ed Umbria.
All’interno di questo opuscolo, che raccoglie notizie di ben 52 Monasteri presenti nelle 3 regioni del Centro Italia, troviamo anche quelle riguardanti il Monastero di Potenza Picena.
Le monache benedettine sono presenti a Potenza Picena, l’antica Monte Santo, fin dall’anno 1280 secondo un catalogo generale benedettino.
La prima testimonianza certa e documentata è il testamento datato 1348 dove una signora santese, tale Gebelosa, lascia al Monastero delle benedettine di Monte Santo alcuni suoi beni terrieri. Questo documento si trova in pergamena presso l’Archivio Storico Comunale di Potenza Piceana.
Il complesso del Monastero di Santa Caterina d’Alessandria, oggi sede limitatamente alla parte della ex chiesa della Fototeca Comunale “Bruno Grandinetti” , è stato lasciato dalle monache solo nel 1881, quando un decreto governativo impose loro la concentrazione presso altro istituto.
Le monache lasciano Santa Caterina e si trasferiscono per qualche anno nel Monastero di San Tommaso delle locali Clarisse.

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Interno Chiesa di San Sisto – Monastero Benedettine di Santa Caterina in San Sisto a Potenza Picena – Foto Sergio Ceccotti.

Solo nel 1887 si offrirà loro la possibilità di acquistare il Palazzo Marefoschi, detto dei Massucci, nella omonima via, oggi intitolata al partigiano Mariano Cutini (l’attuale sede dell’ordine). Il giorno 22 maggio 1933 il Monastero è riuscito ad ottenere il riconoscimento giuridico del Re Vittorio Emanuele III. Le monache in questa nuova sede utilizzano per le loro funzioni religiose la Chiesa di San Sisto, che era di proprietà della Confraternita dell’Orazione e Morte, in Vico Dogali.
Oggi all’interno del Monastero si trovano 5 monache, ma nel passato ha ospitato una comunità molto più numerosa. Infatti controllando tutti i censimenti della popolazione fatti dal 1853 al 1951, conservati presso il nostro Archivio Storico Comunale, è emersa una realtà molto viva del Monastero di Santa Caterina delle Benedettine di Potenza Picena. Infatti nel 1853 risultavano 19 monache, nel 1861 n° 27, nel 1871 n° 21, nel 1881 n°14, nel 1921 n° 11, nel 1931 n° 17, nel 1936 n° 18 e nel 1951 n° 23.
L’ultima monaca che è entrata in Monastero ed ha vestito l’abito delle benedettine locali è stata Ilaria Antonini il 3/10/2012 (all’epoca di anni 26), prendendo il nome di Suor Maria Beatrice. Tra le tante monache che hanno vestito l’abito religioso abbiamo trovato anche la figlia di Carlo Cenerelli Campana, Francesca.
Il padre viene ricordato perché nel 1852 ha scritto la famosa storia di Monte Santo.
Nel 1987 lo studioso e religioso locale Mons. Giovanni Cotognini, ha avuto modo di poter consultare l’archivio del Monastero ed ha scritto il libro, “Il Monastero delle Benedettine di Potenza Picena”, l’unico che parla dettagliatamente della nostra istituzione religiosa e della sua storia.
Il Monastero delle Benedettine locali è molto legato alla comunità di Potenza Picena, di cui è stato sempre parte integrante. La comunità monastica è guidata oggi dalla Abbadessa Madre Maria Paola Bernardi e la sua vita interna si svolge serenamente ed armonicamente tra preghiere e lavoro, nell’impegno di fedeltà all’ideale monastico benedettino, che per oltre sette secoli si è mantenuto vivo.

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Coretto interno monastero Benedettine di Santa Caterina in San Sisto a Potenza Picena – Foto Sergio Ceccotti.

In particolare le monache di Potenza Picena vengono ricordate per il loro lavoro di ricamo e di rammendo e anche per i loro dolci che sapevano e sanno ancora preparare con antiche ricette. All’interno della Chiesa di San Sisto è esposto l’antico Crocifisso molto venerato del Sec. XVI, secondo il Dott. Mauro Mazziero, il quadro “Madonna col Bambino tra i santi Giovanni Battista e San Sisto” di autore ignoto, fine sec. XVII restaurato nel 2007 da Paola Carestia ed Eleonora Milani.
Nel contesto del Monastero si trova la pala raffigurante “Madonna in Gloria con i Santi Caterina, Benedetto e Scolastica”, Sec. XVII, autore ignoto.
Stupenda la poltrona conservata nel Monastero dove si è seduto il Pontefice Pio IX nel 1857 quando si è fermato al Porto di Monte Santo, insieme alla sua papalina.
L’articolo è arricchito da un bellissimo servizio fotografico di Sergio Ceccotti, con immagini scattate sia all’interno del Monastero che nella Chiesa di San Sisto. Ringraziamo Sergio per averci messo a disposizione in esclusiva questo suo lavoro artistico che documenta in maniera eccellente il nostro Monastero, facendoci conoscere meglio questo luogo di clausura.
Notizie tratte da:
“Il Monastero delle Benedettine di Potenza Picena” di Giovanni Cotognini, 1998, Forlì.
“Monte Santo itinerari storico – artistici del Comune di Potenza Picena” a cura di Duilio Corona, 1998, Pollenza.

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a cura di Suor Maria Candida Italiani

Copertina del libro Cenni storici dell’Istituto  “Figlie del SS.mo Redentore e della B. V. Addolorata”

Copertina del libro Cenni storici dell’Istituto
“Figlie del SS.mo Redentore e della B. V. Addolorata”

Il Ritiro delle suore del SS/mo Redentore e Beata Vergine Addolorata ebbe origine il 5 aprile 1816, Venerdì di Passione da cinque zitelle che si riunirono in una casa privata con l’intento di dedicarsi esclusivamente al servizio di Dio.
Negli anni successivi il numero di esse andò sempre più accrescendosi in modo che nell’anno 1822 raggiunsero il numero di dodici e dalla casa primiera trasferirono la loro abitazione in una parte dell’antico Collegio dei PP. Gesuiti, ossia casa Prepositurale, ceduta loro in uso da quel Rev.do Proposto D. Luigi Pasquali. Morto quel Rev.do Proposto, le zitelle ottennero, con rescritto Pontificio del 26 marzo 1838, in perpetuo l’abitazione per dieci suore, con obbligo di fare scuola alle fanciulle e con obbligo di mantenere e nettare la biancheria della Chiesa Prepositurale e somministrarle le Ostie. Continuarono le zitelle a vivere così riunite sino all’agosto 1874. In quell’anno il Ritiro prese aspetto di casa religiosa tanto che l’Eminentissimo Cardinale Filippo De Angelis, Arcivescovo e Principe di Fermo volle dare una regola e ciò avvenne con decreto del 24 agosto 1874.
In quell’occasione l’Eminenza Sua dava alla Comunità un suo rappresentante con il nome di deputato Ecclesiastico nella persona del Reverendissimo Signor Proposto.
Fu poi nel novembre del 1882 che si compirono i desideri delle Suore con l’emissione dei voti semplici su le basi dalla regola stessa prescritte. I santi voti furono ricevuti da S.E. Rev.ma Mons. Rocco Anselmini, Vescovo di Nocera, mandatovi con speciali facoltà da S.E. Rev.ma Mons. Amilcare Malagola Arcivescovo e Principe di Fermo.

Suor Maria Candida Italiani

Suor Maria Candida Italiani

Oggi le Suore chiamate Figlie dell’Addolorata, occupano tutto l’antico convento dei PP. Gesuiti.
Una parte della casa fu ceduta loro dal Conte Giuseppe Carradori con l’obbligo di provvedere in perpetuo alla funzione della Coroncina nella chiesa di S. Sisto insieme all’obbligo di mantenere in perpetuo due giovanette nell’Istituto in qualità di educande; un’altra parte della casa fu comprata dal Conte Alessandro Carradori; una terza parte, le Suore la godono in forza, come accennato, del Rescritto Pontificio; ed infine alcune camere furono date dal Proposto D. Giuseppe Gironelli in commutazione di un pezzo di terreno ceduto per la fabbrica della casa parrocchiale, con approvazione di S.E. Mons. Roberto Papiri, Arcivescovo e Principe di Fermo.
Le Suore possiedono macchine da tessuto in damasco, seta, lana, cotone, e per questi lavori sono conosciute e ricercate. Hanno pure un fiorente Educandato con scuole medie parificate.
Altre case religiose di queste Suore sono in Amandola, Fontespina di Porto Civitanova, Meldola (Forlì), Porto Potenza Picena.

Articolo tratto dal libro di Mons. Giovanni Cotognini “Il Capitolo dell’Insigne Collegiata di Santo Stefano in Monte Santo” del 25 luglio 1951. Appendice 14 pubblicato sul blog.

Suor Maria Candida Italiani, al secolo Nivea, nata a Meldola (Forlì) il giorno 9/9/1934 da Aldo e Argentina Giulianini, morta a Potenza Picena presso la Casa Madre dell’Istituto il giorno 6/8/1990.

Documento allegato:

pdficon_large addolorata.pdf – Libro di Suor Maria Candida italiani

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