Di Mons. Giovanni Cotognini
25 maggio – S. Girio. A questa data, a questo nome, si presenta alla nostra fantasia tutta una storia di bontà, di virtù, di santità, di grazie. Nella Baronia di Lunello (città della Francia) è nato un bimbo; è sbocciato un fiore: un bimbo che, cresciuto negli anni, dovrà venire qua a terminare i suoi giorni; un fiore che il divino giardiniere trapianterà nella nostra terra: S. Girio. Tra gli agi e le comodità in cui si trova sente la voce del mondo che lo invita a godersi la vita; ma sente pure la voce di Dio che gli ripete: vieni e seguimi; avrai un tesoro che nessuno potrà mai rapirti. A questa voce Girio tende l’orecchio; questo invito conserva nel cuore, finché, giunto il momento opportuno, tutto abbandona e, in compagnia del fratello Effrendo, comincia la vita di pellegrino. E sarà vita di disagi e contrassegnata da prove.
La prima tappa è un ponte costruito dai Romani sul fiume Gardone. Ai piedi del ponte vi sono due nicchie simili a caverne. Vengono scelte a dimora e lì attendono alla preghiera e alla meditazione delle verità eterne. Di là uscivano per mendicare, tra gli sparsi casolari, il sostentamento alla vita. Ma ecco che la fiducia dei due fratelli nella Provvidenza viene messa alla prova. Continue piogge gonfiano il fiume, impediscono ai due eremiti di uscire dalle grotte. Privi di tutto, con che cuore avranno ripetuto: “dacci oggi il nostro pane quotidiano”. E la preghiera è subito esaudita; e la fiducia è premiata. Due serpenti appaiono sull’acqua; portano in bocca del pane, si avvicinano alle grotte e lasciano il cibo che Dio manda ai suoi servi. Cessate le piogge, i pellegrini si mettono in cammino. La meta è Roma. Parte del viaggio viene fatto per mare; parte per terra. Ma l’uno e l’altro viaggio sono contrassegnati da dure prove: il viaggio in mare viene funestato da furiosa tempesta, che mette in serio pericolo i naviganti; il viaggio di terra dallo smarrimento della via. Ma non è scossa la fede di Girio. “Invoca me in die tribulationis…” dice il Signore, e Girio implora aiuto, e l’aiuto non tarda a venire e a consolare. Nel mare la tempesta si calma; nel bosco presso Viterbo, dove si erano sperduti, ecco sbucare un’orsa che, come cane fedele, guida per più di quattro chilometri i pellegrini e li riporta sul giusto cammino.
E così giungono a Roma. A Roma, mentre visitano le tombe degli Apostoli, nei luoghi santificati dai martiri, sentono parlare di un certo Liberio, uomo di grande santità, che è in Ancona e ha desiderio di visitare la Palestina. Girio subito lascia Roma per vedere Liberio ed unirsi a Lui nel pellegrinaggio. Visitare i luoghi santi è stato sempre il suo sogno. Potesse ora realizzarlo!! E avanza Girio, seguito dal fedele fratello Effrendo, verso le nostre Marche. Vieni pure o servo del Signore. Montesanto ti aspetta. Qui troverai la volontà di Dio, ti sbarrerà la strada e tu porrai termine al tuo cammino! Un dolore di capo che affliggeva Girio da qualche tempo, si fa più grave e fastidioso. Arrivati i due fratelli in questa nostra zona, sono costretti a fermarsi; Chiedono ospitalità e passano la notte in una cascina. Al mattino Girio vuole riprendere la strada verso Ancona, ma al fiume Potenza non ne può più; si accascia a terra e guarda sorridendo il cielo. È l’ultima ora. Effrendo corre in cerca di aiuto, ma tutto è inutile. Girio reclina il capo e muore. A Montesanto le campane agitate da mani invisibili suonano a distesa. E la gente accorre. Anche da Recanati viene gente. Tra i due popoli succede un litigio per il possesso del corpo. Un bimbo per la prima volta parla e consiglia di porre il corpo su di un carro tirato da giovenche mai attaccate al giogo. Così si fa. Fra la trepidazione e il silenzio di tutti, le giovenche volgono il cammino verso la nostra terra. Qui il corpo di Girio viene sepolto. Sul corpo di Girio, da tutti chiamato santo, viene eretta una chiesa. Questa chiesa diviene meta di pellegrinaggi e centro di attenzioni da parte della municipalità. E mentre vengono, da Montesanto e dai paesi vicini, devoti a chiedere grazie, il municipio vigila che tutto abbia a procedere con ordine e con decoro; che le offerte lasciate dai fedeli servano al mantenimento della chiesa e a provvedere il necessario per il culto divino, e sceglie sindaci, amministratori, deputati, perché provvedano a tanto. E perché l’ufficiatura della chiesa sia continua, pensa a collocarvi dei religiosi. Agostiniani, carmelitani, servi di Maria, si succedono nel servizio di questa chiesa. Solo quando nel 1652 Innocenzo X sciolse le piccole comunità si mise qui un sacerdote secolare come cappellano, che poi, nel 1739, divenne parroco.
Ma non basta. Il municipio vuole anche pubblicamente manifestare la propria devozione al santo e ne stabilisce, con una serie di norme, le modalità. Il 25 maggio è giorno festivo; e per avere gente in numero maggiore anche dai paesi circonvicini, si chiede al Papa Paolo V di poter fare pure una fiera (10/01/1606). Per impedire disordini si mandano cinquanta soldati a custodire la chiesa dalla mattina alla sera. Il clero con processione solenne, il municipio in forma ufficiale, partono da Montesanto e si recano in questa chiesa, e il municipio offre il suo dono in segno di sudditanza e di devozione. Simbolico segno i ceri. Ardendo significano l’amore che si porta al santo; ma stanno lì pure a ripetere la preghiera da noi recitata all’altare.
La giornata era rallegrata da spari e chiusa dall’accensione di fuochi. Cose tutte che vedete istoriate in questa chiesa divenuta, per lo zelo del vostro parroco, una delle più belle chiese rurali dell’arcidiocesi nostra. Queste cerimonie dovettero durare fino al 1860. Poi, per le note vicende politiche, furono sospese. Oggi per interessamento dell’Amministrazione Comunale, la tradizione è stata ripresa, e si rivede la municipalità venire in forma ufficiale a venerare S. Girio e a ripetere l’offerta dei ceri. Sotto le mode antiche voi scorgete visi ben noti. Si è voluto così unire il passato al presente; colmare una lacuna; gettare un ponte sull’incrinatura prodotta dall’ondata anticlericale del nostro risorgimento.
Atto di ossequio perché S. Girio è il compatrono della nostra città.
E compatrono significa: custode, difensore della città; avvocato presso il trono di Dio; signore della città. Se lui è il signore, noi i sudditi; se lui il difensore, noi i difesi; se lui l’avvocato, noi i clienti.
Doveroso dunque il nostro ossequio. Ma fra tanti titoli un altro ce n’è. Alunni, e tali dobbiamo essere, se vogliamo che S. Girio continui a proteggerci. Lui pellegrino, pellegrini noi pure, verso la terra santa e noi verso il cielo. Portiamoci spesso col pensiero verso questa patria se vogliamo salirvi con l’anima dopo la nostra morte.
Fugge il mondo; fuggiamo noi pure, non la società, ma quella parte della società che è nemica di Dio e del Vangelo, l’armento di Satana; lui sottomesso ai voleri del cielo; fidente sempre nella Provvidenza divina. Nelle prove pubbliche e private in cui potremo trovarci non perdiamo la fiducia in Dio; attendiamo all’adempimento dei nostri doveri e siamone pur certi, dopo le tenebre, tornerà la luce; dopo le nubi risplenderà il sole. Questi gli insegnamenti di S. Girio. Ascoltiamoli e mettiamoli in pratica. E perché questo avvenga, oh! S. Girio, pregate per noi.
È stato detto che tutto quello che si racconta di S. Girio sia immaginario; che la stessa figura del santo sia leggendaria.
Non sembra che l’autore di tale frase, abbia centrato il bersaglio.
Troppi argomenti ci sono per mostrare il contrario.
Intanto del giovane Gerardo o Girio, ci parla un antico manoscritto di Lunello, patria del nostro santo; della famiglia di lui, ci parla Memoir de l’histoire du Languedoc, di Guillaume de Catel, p.343 (Cfr. Della vita, culto, e miracoli di s. Girio confessore specialissimo protettore di Monte Santo nel Piceno, per Gioacchino e Gio. Giuseppe Salvioni stampatori vaticani, Roma 1766, p. 2).
Di S. Girio morto e sepolto in territorio di Montesanto, tra il 1298 e 1299, parlano immagini, atti consiliari, il culto immemorabile prestato al santo ecc. Infatti:
- sul sepolcro di S. Girio venne subito costruita una chiesa e, nel 1326, questa, perché minacciava rovina, venne visitata da Ugone Bonis, tesoriere della Marca Anconitana, per ordine di Giovanni Diacono cardinale di S. Teodoro, Legato della Sede Apostolica;
- nel 1377, il consiglio comunale di Montesanto stabilì di festeggiare S. Girio il 25 maggio;
- nel 1400 abbiamo un’altra effigie di S. Girio che assieme alle effigi di S. Michele Arcangelo e S. Stefano, sta attorno alla Vergine. La pittura è di Pietro da Montepulciano (Cfr. Rotondi, Argomenti di Arte Marchigiana, Fabriano, 1936);
- gli statuti della comunità, del 1431, stabiliscono di considerare festa di precetto il 25 maggio e dànno norme per la celebrazione di tale festa;
- nel 1463 si pensava di mettervi i PP. Minori a servizio della chiesa e Pio II° (che era stato Vescovo di Fermo) accolse la richiesta di fabbricare un convento a fianco della chiesa. Il Papa nella Bolla che porta la data 27/07/1463, ma che fu spedita il 01/06/1466 (e la Bolla si può vedere nell’Archivio Vaticano) dice che nella chiesa riposa il Corpo di S. Girio; che Iddio, per intercessione del santo vi opera moltissimi miracoli; che la chiesa è meta di pellegrinaggi…
- Dovendosi riparare la chiesa, il consiglio comunale, nel 1480, diede ordine, qualora si fosse trovato il corpo del santo, di trasportarlo in paese, alla pieve, per poi riportarlo a posto a lavori ultimati.
Non sappiamo cosa sia avvenuto. Nessuna meraviglia. A quel tempo si consideravano i corpi dei santi come preziosi tesori; si tenevano nascosti e segreti per paura di trafugamento. - Nel 1523, il Card. Colonna, patrono della chiesa di S. Girio, ne trascurava il decoro. La comunità, con atto consiliare, spedì una commissione al Papa Adriano VI perché con la sua autorità costringesse il Cardinale a rinunciare al patronato.
- Nel 1774, nella pieve di S. Stefano, mentre, per costruire un sepolcro, si stava scavando nella cappella di S. Girio, così chiamata per un’immagine e un altare che vi erano di detto santo, per il cadere di una lama di terra si scoprì un loculo, dove era un corpo che si disse di S. Girio per il fatto che una lapide lo diceva chiaramente. Il pievano dell’epoca, don Lorenzo Vecchini, per ragioni non dettate da prudenza, allontanò gli operai e fece scomparire ogni traccia. Il fatto non finì lì; dovette destare ammirazione, se ne dovette parlare a lungo. L’immediato successore del Vecchini, don Domenico Mozzoni, venuto da Montefiore a reggere la pievania di S. Stefano, nel 1717, dovette sentire raccontare il fatto da testimoni oculari, non escluso il M.R.D. Francesco Antonio Clari, cappellano del Vecchini nel 1714 e poi economo spirituale. Il Moroni, nel Libro X dei Battesimi, a fianco dell’atto n. 110, a p. 164, mise questa nota:
Il primo battesimo amministrato nel Battistero di nuovo rimosso dal luogo dove l’avevo fatto trasportare il 17/4/1720, perché nel luogo dove era stato posto, luogo che era sotto l’arco con le pitture della B.V. e di S. Girio, c’era il tumulo di detto santo, il cui corpo ritrovato nel tempo in cui dal R. Vecchini Pievano, si costruiva in un muro della cappella il Cimitero, fu poi rubato, ex testium depositionibus.
Se non fosse stata una cosa seria, avrebbe il pievano messo una nota del genere a fianco di un atto di Battesimo?
Nel 1732 lo stesso arcivescovo di Fermo Alessandro Borgia, fece fare una inchiesta e ne diede incarico a mons. Alessandro Buonaccorsi. Le indagini durarono dal 07/10 al 12/11. Furono interrogati quindici testimoni e tutti affermarono che il corpo di S. Girio era stato trovato e che il pievano lo aveva di nuovo nascosto (arch. della curia di Fermo). - Il 01/08/1742 venne approvato il culto immemorabile; nel 1743 venne concesso al clero di Montesanto di celebrare il 25 maggio l’Ufficio e la Messa di S. Girio.
- Il 10/03/1893 la S.C.R. concesse le lezioni proprie al clero di Potenza Picena e S. Pio X le concesse pure al Terzo Ordine Regolare.
- Alla Biblioteca Vallicelliana di Roma, Pos. 3, p. 145, ci sono gli Atti della vita di S. Girio, Atti che furono copiati da Girolamo Ridolfi da […] nel 1326.
Il Catalani nel De Ecclesia Firmana eiusque Episcopis et Archiepiscopis Commentarius, Firmi, 1783, a p. 51 dice che Henschenius Bollandienus, parlando di questi Atti di S. Girio, così si esprime: “Ego quod censuram magnopere mereatur, nihil in iis reperio”. - Il Lamonnier, nelle Memorie, a pag. 315, 316, parla di S. Girio, che condusse vita angelica nel castello paterno e morì in odore di santità a Montesanto (Cfr. “La Verna”, rivista francescana, anno I°, n. 5, ottobre 1903, p. 292).
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