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Cogliamo occasione di informare tutti i cittadini che venerdì 24 giugno si terrà a Recanati la presentazione del numero 9 della rivista Storia & storie nelle Marche. Tra i molti ed interessanti interventi, segnaliamo la ricerca condotta da Luca Carestia Sul culto di san Girio nelle diocesi di Fermo e Montpellier.
L’incontro avverrà alle ore 17:30 presso l’Aula Magna del Comune di Recanati.

L’articolo di Luca Carestia può comunque essere consultato e scaricato gratuitamente cliccando qui.

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Cogliamo occasione di informare tutti i cittadini che sabato 9 ottobre si terrà a Recanati la presentazione dei numeri 7 e 8 della rivista Storia & Storie nelle Marche. Tra i molti ed interessanti interventi, segnaliamo la presenza di articoli riguardanti la città di Potenza Picena. In particolare:

  • Potenza Picena in un questionario del 1885
  • “Questo dei colli a noi è il più caro”. La Società Potentina di Mutuo Soccorso di Buenos Aires e altre storie di emigrati da Potenza Picena in Argentina
  • Le Fontanelle e Redefosco: due sorgenti d’acqua minerale tra Recanati e Potenza Picena

L’incontro avverrà alle ore 17:00  presso la sala degli stemmi al secondo piano del palazzo comunale

L’articolo su le sorgenti Fontanelle e Redefosco può comunque essere consultato e scaricato gratuitamente cliccando qui.

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A cura di Luca Carestia

Nella parte nord-ovest della città di Potenza Picena ricorre con particolare frequenza il toponimo cava: contrada della cava, fosso della cava, porta della cava e fonte della cava.  L’origine di questo termine sarebbe da ascrivere – secondo il Cenerelli Campana – alle attività estrattive che in passato hanno interessato quest’area. Gli «strati di creta smaltati di sostanza argentea» ritrovati durante lo scavo delle fondamenta della fonte della cava, fanno supporre allo storico santese che nella zona vi fosse una cava, successivamente abbandonata perché la «spesa non era compensata dalla rendita».

Sebbene nella città di Potenza Picena (già Monte Santo) la lavorazione della terracotta risulti attiva già nel tardo Trecento e altre testimonianze ne riferiscono il prosieguo anche nei secoli successivi, è utile osservare che non si ha certezza dove questa attività di scavo fu condotta, quale sia stata la sua entità e se l’escavazione venne praticata a cielo aperto o in galleria. Tuttavia, questa esitazione sembra svanire nella tradizione popolare dato che l’esistenza di una cavità sotterranea, capace di estendersi fin nel cuore della città, risulti opinione abbastanza diffusa.

Sebbene nella città di Potenza Picena (già Monte Santo) la lavorazione della terracotta risulti attiva già nel tardo Trecento e altre testimonianze ne riferiscono il prosieguo anche nei secoli successivi, è bene però osservare che non si ha certezza dove questa attività di scavo fu condotta, quale sia stata la sua entità e se l’escavazione venne praticata a cielo aperto o in galleria. Tuttavia, questa esitazione sembra svanire nella tradizione popolare dato che l’esistenza di una cavità sotterranea, capace di estendersi fin nel cuore della città, risulti opinione abbastanza diffusa.

Riferimenti in proposito ci giungono da uno scritto in vernacolo di Severino Donati e da una nota contenuta nel libro Da Potentia a Monte Santo a Potenza Picena di Vincenzo Galiè. In entrambi i testi i due autori concordano nel posizionare nell’area adiacente la fonte della cava e dell’omonima porta, l’ingresso di una lunga galleria capace di raggiungere la piazza principale, finendo poi il suo percorso in un pozzo situato nei pressi dell’angolo dove c’era la chiesa di San Giovanni de Platea.

Raduno in Piazza Principe di Napoli (oggi Piazza Matteotti) negli anni trenta del Novecento. A destra si noti la chiesa di San Giovanni de Platea.

Idea di indubbio fascino, apparentemente avallata anche da un curioso toponimo che già dal XIV secolo compare nelle succinte annotazioni del Vogel (1756-1817). Tra gli appunti del sacerdote alsaziano vi è infatti la segnalazione di una «porta coniculi» negli Annali di Monte Santo del 1365 e di una «porta Conocchiarii» in quelli del 1425. Considerando che il vocabolo cuniculus (cunicolo) è all’origine del termine conocchiario (o cunicchiaro), la presenza di quest’ultimo toponimo nella documentazione cittadina del basso Medioevo sembrerebbe quindi dare una certa validità alla presenza di una “grotta” – o meglio -, di un cunicolo nella zona.

La stretta relazione tra quest’opera e uno specifico settore della città deve però rendersi evidente attraverso altre prove, capaci di documentare anche la possibile funzione assolta da questo cunicolo. Nelle antiche fonti letterarie ed epigrafiche il termine cunicolo veniva infatti usato per identificare un transitum occultum, una via sotterranea utile per vari scopi. Poteva indicare un percorso militare, far riferimento a un angusto passaggio minerario oppure suggerire opere di natura idraulica come canali e acquedotti. In questa prospettiva, orientata a valutare i probabili elementi che possono far emergere questo rapporto, l’accenno del Cenerelli Campana a «riadunare nell’esterno le acque, ed in prossimità alle mura castellane, che fluiscono dall’interna fonte della Cava», credo possa rappresentare un promettente percorso di ricerca, perché in grado di svelare scenari inediti sulle questioni sollevate nelle righe precedenti.

Un cunicchio da indagare

Il passo poco sopra citato precede le considerazioni dello storico santese sul «nome di Cava», e fa riferimento agli interventi effettuati per la costruzione di una nuova fonte pubblica da collocarsi all’esterno delle mura cittadine.

Nella Mappa del Circondario di Monte Santo del 1817, appare una struttura segnalata come «nuova costruzione di una Fontana», mentre un’altra viene identificata come «antiche Fonti della Cava». Essendo queste ultime «in parte dirute» venne proposta una loro «rimessa in attività» ma, vista la «gravissima spesa» per questo intervento e l’ampliamento della «strada esterna che collega la Porta Girola con quella di Galazzano», ciò non avvenne e si decise di costruire una nuova fonte, utile a chi era in transito verso località prossime al nostro comune. Le “acque interne” che fluivano dall’antica fonte della cava vennero quindi “riadunate” e convogliate in prossimità delle mura castellane, presso una fonte di nuova costruzione.

Mappa del Circondario di Monte Santo del 1817. A: porta della cava. B: «antiche Fonti della Cava» C: «nuova costruzione di una Fontana»

Svelando importanti interventi idraulici, cenni sulla presenza di una grotta compaiono in un resoconto del 1821. Nell’agosto di quell’anno venne redatto un elenco di lavori necessari a ripristinare un corretto flusso d’acqua presso la fonte della cava. Nello scritto si fa riferimento all’ispezione di una grotta e al lavoro di sterro da compiersi per tutta la lunghezza della cavità al fine di predisporre un nuovo canale per «trasportare l’acqua nelle tre cannelle». Nel settembre dell’anno successivo si fa cenno alla «livellazione della Fontana della Cava, incominciando dalla Cisterna dove è la sorgente per fino alle Fonti Vecchie entro l’abitato». Infine, ulteriori lavori nel «cunicolo ove scorre l’acqua» ed altri «necessari ripari di cui abbisogna la cisterna ove evvi la sorgente» vengono eseguiti nel 1855, ribadendo così, in maniera inequivocabile, la presenza di un cunicolo e di una cisterna destinata alla raccolta d’acqua sorgiva.

Resoconto del 1821 riguardante i lavori da effettuarsi nella fonte della cava.

A tali testimonianze va aggiunta poi una relazione degli anni Trenta del secolo scorso che, sottolineando la costante opera di manutenzione praticata all’interno della cavità, offre la possibilità di comprendere meglio il suo sviluppo. Nello scritto si fa presente che il sig. Agostino Asciutti, abitante in via Cesare Battisti, chiese al Comune di Potenza Picena un sussidio in denaro per ricostruire la propria casa, crollata – a suo dire – a causa dell’«improvviso franamento di una grotta sottostante la sua abitazione». Al fine di verificare se sussistevano eventuali responsabilità da parte del Comune, il locale Ufficio Tecnico iniziò a condurre degli accertamenti all’interno della «grotta (o galleria) della cava». Vennero notati piccoli crolli dovuti a «rilasci delle stratificazioni di tufo arenario misto ad argilla della volta» tali però da non destare preoccupazione di stabilità e quindi non imputabili al crollo dell’abitazione. Oltre ciò, «la imponente massa di terreno soprastante la grotta, che nei punti più critici arriva ad avere lo spessore minimo di mt.17», non aveva subìto cedimenti di rilevante importanza e pertanto rappresentava un ulteriore elemento in disaccordo con la tesi del sig. Asciutti che, in tal maniera, vide naufragare la sua richiesta.

Ad incrementare le testimonianze sulla presenza della cosiddetta “grotta (o galleria) della cava” va infine citato lo «Stato finale dei lavori in muratura eseguiti al rifugio della Cava». Durante l’ultimo conflitto mondiale la cavità fu infatti ritenuta idonea per ospitare un rifugio antiaereo e, per garantire una maggiore sicurezza a tutto l’ipogeo, vennero effettuati alcuni interventi. A sostegno della volta furono costruiti 8 archi in muratura «a sesto intero con pilastri da 30 cm»; «in fondo ad una Galleria» venne eretto un muro di chiusura che, alto 2 metri e largo 1,50, ci consente di valutare le dimensioni della galleria, mentre «ad una svolta di incrocio» ne fu posto uno di sostegno.

Agostino Asciutti

Un ambiente da immaginare

Nonostante tutte queste informazioni ci offrano la possibilità di individuare l’area in cui questa cavità si trovi, gli interrogativi irrisolti sono ancora molti. Se l’incertezza principale riguarda il reale sviluppo del suo tracciato, lasciando anche incognita la direzione e la lunghezza di possibili tratti che da quella «svolta di incrocio» potrebbero estendersi, altri dubbi avanzano per la presenza all’interno dell’ipogeo di opere di raccolta e canalizzazione dell’acqua. Queste, offuscando l’ipotesi estrattiva proposta dal Cenerelli Campana, offrono esplicite evidenze alla funzione idraulica del cunicolo che, però, non trova un chiaro riscontro della sua estensione fino al pozzo della cava.

Sebbene possa confortare l’idea che la «cisterna ove evvi la sorgente» corrisponda – per dirla con le parole di Severino Donati – al «pozzo, lla lo spigolo verso la cchjesa de Sagnuànno», alcune perplessità impongono una certa cautela che è bene conservare fino a quando non si avranno ulteriori prove, utili a valutare il tutto con maggiore chiarezza. Poter disporre di una più ampia documentazione potrebbe infatti dissipare molti dubbi, ma, ad oggi, possiamo solo immaginare se lo sviluppo e la funzione originaria di questo cunicolo vada oltre le evidenze che si sono imposte.

Supporre l’esistenza di luoghi che si trovano sottoterra è lecito, la loro perfetta invisibilità può innescare nella nostra immaginazione una sorprendente moltitudine di forme e spazi che si plasmano nell’ascolto di un flebile sussurro. Come la città invisibile di Argia «da qua sopra, non si vede nulla; c’è chi dice: «È là sotto» e non resta che crederci. Di notte, accostando l’orecchio al suolo, alle volte si sente una porta che sbatte».

Mappa del centro storico di Monte Santo tratta dal catasto gregoriano. In evidenza alcuni punti di interesse citati nel testo. 1: porta della cava. 2: nuove fonti della cava. 3: antiche fonti della cava. 4: casa Agostino Asciutti. 5: pozzo della cava. 6: via del cunicchiaro (attuale via Galvani). Il tratto 2-5 indica l’ipotetico tracciato della “grotta (o galleria) della cava”.

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Versante della collina interessato dalla presenza della sorgente Redefosco.

Offrendo spazio a ricerche di carattere storico riguardanti prevalentemente il territorio della bassa valle del fiume Potenza, la rivista Storia & storie nelle Marche accoglie nel suo ultimo numero una ricerca condotta da Luca Carestia su due sorgenti di acqua minerale poste nel territorio tra Potenza Picena e Recanati.

Accennato in questo blog più di un anno fa, il tema era stato trattato in un articolo riguardante l’inchiesta sanitaria nazionale condotta nel 1885. Riprendendo quanto scritto per l’occasione, il contributo di Luca Carestia concentra la sua indagine sui documenti che dal 1851 al 1941 hanno dato notizia di queste sorgenti. Notiziari, bollettini e pubblicazioni di carattere medico e statistico hanno infatti preso in esame queste risorse, descrivendone aspetti fisici, chimici ed avanzando possibili prospettive di sfruttamento.

La conoscenza per «quali malattie potesse venire amministrata con utilità degli infermi», fu infatti il motivo che nella metà dell’Ottocento spinse il dottor Dazio Olivi (1814-1889), medico condotto nella città di Monte Santo, ad effettuare delle analisi e pubblicare una relazione Sull’acqua salsoiodica di Montesanto. Avvalendosi della collaborazione del farmacista lauretano Giuseppe Cesaroni – che si era occupato anche delle acque minerali dell’Aspio – l’Olivi avviò un’indagine sulla sorgente de Le Fontanelle la quale, visti i promettenti risultati ottenuti, offrì al medico occasione di «sperimentarla nella cura delle maggiori affezioni diffuse tra la popolazione santese».

Frontespizio de I Tesori Sotterranei dell’Italia. All’interno del volume sono contenute alcune notizie sulle sorgenti de Le Fontanelle e Redefosco.

Le potenzialità scaturite dalle indagini condotte, unite anche alle «qualità note da tempo ai medici ed in ispecie dal già medico Primario Filocolo Martinelli» che si occupò della sorgente di Redefosco, furono validi presupposti per avallare una divulgazione più ampia, capace di estendersi sia a livello provinciale che nazionale. La partecipazione all’Esposizione Italiana del 1861 e, successivamente, all’Esposizione di Macerata del 1865 ne sono un esempio.

Da un’indagine statistica del 1868, tra le 1629 sorgenti elencate vi furono incluse anche quelle de Le Fontanelle e Redefosco. Impiegate entrambe per la cura delle malattie cutanee, l’uso in bevanda era consigliato per la prima, l’utilizzo in bagni era invece indicato per la seconda. Negli anni successivi riferimenti alle loro proprietà si trovano in varie pubblicazioni quali, ad esempio, la Geografia medica dell’Italia, il Dizionario Universale topografico storico fisico-chimico terapeutico e ne I Tesori sotterranei dell’Italia del 1874.

Nel corso del XX secolo le citazioni si fecero però via via più esigue fino a farsi sporadiche o marginali. Se per la sorgente Redefosco non appaiono notizie di particolare rilevanza, sulla sorgente de Le Fontanelle alcuni riferimenti si trovano nel bollettino Il Metano. In esso si fa menzione della presenza di «acqua minerale con gas» riscontrata presso il «Molino Fontanelle di Recanati», un luogo questo considerato interessante non per le già note “motivazioni di carattere idrico”, ma per le «condizioni assai favorevoli per una ricerca di petrolio» che ne richiamava, in regime di autarchia, estese «indagini esplorative ed una ricerca a mezzo di trivellazioni».

Dagli anni cinquanta del Novecento non risulta emergere più alcuna segnalazione, lasciando così supporre un mancato interesse da parte della pubblica amministrazione verso questa risorsa. Ciò, tuttavia, è da escludersi per i privati cittadini, le cui testimonianze orali raccolte confermano un utilizzo non interrotto anche in anni recenti. Per la sorgente Redefosco va infine ricordato che, come scrisse Vincenzo Galiè nel suo Da Potentia a Monte Santo a Potenza Picena, la presenza di un antico Rio Salsula prossimo alla sua zona, venne segnalato in un antico documento medievale. L’autore fa infatti riferimento a un «atto del 1028 che indica una via che da S. Stefano scende al fosso Salsule e al Potenza», osservando che la presenza di un “elemento salino” abbia «facilitato lo stanziamento e la permanenza di una comunità nei secoli in questo spazio».

Purtroppo, a causa della pandemia di covid-19, la presentazione di questo numero della rivista è stata rimandata. Sarà nostra premura informarvi sulla nuova data proposta, così da dare possibilità agli interessati di partecipare all’evento, approfondendo questo e gli altri argomenti trattati nella pubblicazione.

L’articolo di Luca Carestia può comunque essere consultato e scaricato gratuitamente cliccando qui.

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Galleria di una grotta che attraversa il centro storico.

Tratto di una galleria che attraversa il sottosuolo del centro storico

a cura di Luca Carestia

Sono passati poco più di trent’anni da quando Sergio Anselmi e Gianni Volpe esortavano ad indagare sotto ogni centro storico di collina, ponendo attenzione a un’altra città fatta di cunicoli e labirinti, di sotterranei ramificati e collegati tra loro [1]. Da allora la conoscenza di questi spazi è cambiata, ovvero si è assistito a un graduale e crescente interesse verso questi ambienti sia da un punto di vista storico-culturale che in ambiti più strettamente tecnico-urbanistici.

Per la città di Potenza Picena il quadro che ad oggi emerge si compone di tipologie ipogee abbastanza comuni. Si ha notizia di fosse granarie nella Piazza Matteotti, di una neviera nella zona del Parco delle Fontanelle e di pozzi e cisterne collocati in proprietà pubbliche e private del centro urbano. Cenni di sistemi cunicolari di varia estensione sono segnalati in diverse zone del territorio comunale, mentre lo scavo di gallerie utilizzate come rifugio antiaereo ha interessato principalmente la zona che si estende da via Scarfiotti a via Le Rupi. A queste opere si aggiunga poi la fitta trama di grotte private che costituisce il corpus più diffuso di una realtà sotterranea che ha sedotto (e seduce) la curiosità e la fantasia di molti.

174 hoepli

Planimetria di una grotta tratta da un manuale Hoepli del 1910. Si noti la disposizione delle botti all’interno delle nicchie.

Utilizzate principalmente come deposito di materiale di vario genere, la forma di queste ultime si caratterizza da una o più gallerie di varia lunghezza che si sviluppano da un corridoio principale. Una serie di nicchie di dimensioni pressoché simili si dispongono ortogonalmente all’interno di queste gallerie divenendo deposito per botti o altro.

Sebbene tale forma risulti abbastanza riconoscibile nelle sue innumerevoli variazioni, non raramente accade di imbattersi in cavità che presentano caratteristiche non riconducibili ad un unico modello. Capita infatti che, a seguito di particolari necessità, la grotta subisca nel tempo degli interventi che ne modificano la volumetria, rendendo complessa l’identificazione delle varie fasi evolutive e dei motivi che ne hanno giustificato lo scavo.

La ricerca di materiale documentale risulta quindi di fondamentale importanza perché può restituirci delle utili informazioni sulle probabili cause di un determinato intervento, offrendoci inoltre nuovi punti di vista su segni e forme che magari “non dicono nulla” ma che possono svelare le tracce di un vissuto sino a quel momento ignorato.

A tal proposito una grotta privata posta a ridosso delle mura urbiche può rivelarsi un utile esempio.

Un rifugio antiaereo privato

La cavità in questione (che chiameremo “Grotta Rifugio”) presenta una lunghezza complessiva poco inferiore ai 70 m e un dislivello di circa 8 m. Dallo schizzo planimetrico appare sin da subito evidente uno sviluppo differente tra due diverse zone. Un primo settore può essere individuato nel tratto iniziale della grotta (di colore grigio), caratterizzato dalla lunga scalinata di accesso dal cui fondo avanza un corridoio con nicchie che da esso si sviluppano ortogonalmente. Da una di queste si estende quello che potremmo definire il secondo tratto (di colore bianco), identificabile con una lunga galleria che, ramificandosi nel tratto finale, procede nel senso inverso alla scalinata d’accesso.

Schizzo planimetrico della

Schizzo planimetrico della “Grotta Rifugio” .

Se il tratto iniziale (sebbene non eccessivamente articolato) presenta le caratteristiche tipiche di ambienti adibiti al deposito o alla conservazione di vari prodotti, le finalità di utilizzo della lunga galleria appaiono incerte. 

La consultazione di una lettera conservata presso il nostro Archivio storico ne fuga però ogni ipotesi. Nelle poche righe della missiva (scritta nel febbraio del 1944) si fa infatti menzione degli scavi che venivano condotti nelle mura del Gioco del Pallone per ricavarne dei rifugi antiaerei. La Superiora Generale dell’Istituto dell’Addolorata ammoniva l’ingegnere comunale circa le gravissime conseguenze di quest’azione per la stabilità del complesso, affidando al Municipio la responsabilità di eventuali danni.

Testimoniando in maniera inequivocabile l’attività di scavo condotta nella zona in quel periodo, tale documento ci offre quindi l’opportunità di prendere in considerazione che parte dell’ipogeo in questione sia stato utilizzato come ricovero antiaereo e che quindi le estreme diramazioni possono essere riconducibili a tale finalità.

Galleria della "Grotta Rifugio"

La lunga galleria che conduce al fondo della “Grotta Rifugio”.

D’altra parte va notato che  lo scavo di cavità a scopo protettivo era già abbastanza diffuso e molte grotte private furono utilizzate (si veda il commento della signora Giovanna Pistarelli riguardo la l’utilizzo della grotta esistente presso il palazzo Cenerelli Campana) e riadattate per le medesime esigenze in base ad una serie di norme emesse sin dai primi anni del 1930.

Dalla pubblicazione di piccoli fascicoli informativi dove si esortavano i cittadini a sistemare gli ambienti sotterranei delle loro abitazioni in modo da neutralizzare gli effetti di piccole bombe e dall’invasione dei gas tossici, si passò all’emanazione di normative che regolamentavano lo scavo dei rifugi attraverso specifici criteri costruttivi.

Esortando le autorità competenti ad eseguire un controllo sugli scavi effettuati in prossimità dell’Istituto, il timore espresso dalla Superiora Generale si fondava pertanto sulla mancata osservanza di tali norme. D’altra parte la necessità di seguire precise indicazioni nella costruzione era stata sottolineata anche in una comunicazione emessa nel gennaio 1944 dal commissario prefettizio. In essa, infatti, si chiedeva di effettuare una preventiva autorizzazione allo scavo dato che si era osservato che gruppi di vari cittadini eseguivano tali operazioni senza quegli accorgimenti tecnici che devono dare quel minimo di garanzia per l’incolumità delle persone.

[1] Sergio Anselmi, Gianni Volpe, L’architettura popolare in Italia. Marche, Laterza, Bari, 1987.

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a cura di Luca Carestia

Questionario 1885

Frontespizio del questionario del 1885 riguardante la città di Potenza Picena. (Archivio Storico Comunale di Potenza Picena)

Nella seconda metà dell’Ottocento la precaria situazione igienica del Paese (già scosso da diverse ondate epidemiche) indusse la classe medica, politica e amministrativa ad attuare degli interventi di miglioramento delle condizioni igieniche degli abitati. La necessità di organizzare queste operazioni richiese però una specifica conoscenza del territorio nel quale si doveva agire. A tal fine, con una lettera circolare del 9 gennaio del 1885, il Ministero dell’Interno propose di effettuare un’inchiesta nazionale dove si esponevano alcuni quesiti attraverso i quali si cercava di conoscere la situazione di tutti i Comuni del Regno.

Filtrate da un interesse rivolto principalmente alla conoscenza degli aspetti igienico-sanitari, le ventuno questioni tendevano a raccogliere informazioni sulla natura delle risorse idriche presenti nei territori comunali, quali erano le maggiori attività occupazionali della popolazione, il loro stato fisico e le patologie maggiormente diffuse. Erano poi richieste notizie sulle condizioni delle vie e delle abitazioni, sulla presenza di cimiteri e come erano strutturati, quanti e quali erano gli istituti di accoglienza e le case di detenzione.

Il questionario potentino. Aspetti generali

Conservato presso l’Archivio storico comunale della nostra città, il questionario riguardante Potenza Picena ci offre l’opportunità di apprendere molte informazioni e di (ri)scoprire alcuni aspetti della comunità potentina di fine Ottocento che, non discostandosi molto da altre realtà limitrofi, era fortemente ancorata a un’economia essenzialmente rurale. Risulta infatti che i residenti (circa 7400 unità) erano in gran parte occupati nel settore agricolo e nell’industria del bestiame composta in prevalenza da bovini (1200 capi), ovini e suini. In città vi era un pubblico macello, tre spacci di tabacchi e cinque di liquori dei quali, salvo rarissime eccezioni, non vi è abuso. Vi erano poi due farmacie, un asilo per bambini, un orfanotrofio, delle carceri mandamentali e un civico ospedale. Il personale sanitario, tutto in condotta, era composto da due medici chirurghi, un flebotomo, tre levatrici e due veterinari.

Molto estesa era la bachicoltura che, svolgendosi prevalentemente durante il periodo primaverile e non interferendo quindi con l’intensa attività a cui la famiglia contadina era impegnata nei mesi estivi, aveva anche il vantaggio di aggiungere un modesto reddito al lavoro mezzadrile.

Questionario 1885

Immagine della Madonna delle Gallette invocata dai bachicoltori. (Civica raccolta di stampe A. Bertarelli, Milano)

La questione riguardante l’alimentazione ci informa poi che la dieta dei possidenti era composta in prevalenza da carni di vitello e vino, mentre la classe agricola e i campagnoli si cibava di frumentone, riso, patate, legumi ed erbaggi, bevendo abitualmente acqua che, attinta da pozzi o raccolta in cisterne, veniva levata con pompa solo da pochi privati. Tra essi è comunque interessante notare che il possesso di una conduttura per le acque potabili con tubi di piombo era esclusivo privilegio di una Villa particolare. Tale dimora, dotata di un acquedotto privato della lunghezza di circa 3 km, è come ovvio aspettarsi la Villa dei conti Buonaccorsi presso Montecanepino.

Aspetti idrici

Le acque avviate al Comune erano invece incanalate in parte per condotti chiusi ed a piccola distanza. In merito a questi sistemi di canalizzazione è bene ricordare che negli anni a seguire si riscontrano nel nostro archivio numerose richieste di intervento a causa delle infiltrazioni che, particolarmente evidenti negli ambienti sotterranei delle abitazioni, arrecavano danno alla casa e all’igiene.

Scorgendo poi altre interessanti informazioni sui sistemi di conservazione ed approvvigionamento idrico utilizzati al tempo, dal questionario apprendiamo la presenza di una cisterna d’acqua sorgiva con pompa idraulica ed un pozzo d’acqua piovana nella pubblica piazza. Una testimonianza sulla collocazione di questi vani sotterranei possiamo averla in una rara foto scattata proprio in quel periodo. In essa è interessante notare le due pompe aspiranti prementi a moto rotatorio il cui acquisto, specialmente per quella posta davanti al palazzo comunale, fu giustificato da disposizioni ministeriali relative alla incolumità dei teatri in caso di recita. Nella foto è poi anche curioso osservare il quadrante ottagonale dell’orologio della torre e la mancata presenza della fontana centrale, manufatto questo installato pochi anni prima dell’inizio del XX secolo.

Nel quesito vengono poi segnalate altre due cisterne nelle vie della città e molti pozzi privati. In questo caso è probabile che una delle due cisterne in questione sia quella atta ad assolvere i bisogni dell’Orfanotrofio. Nel registro delle delibere della locale Congregazione di Carità appare infatti la conferma a procedere ai lavori per rendere potabile l’acqua dato che, contrariamente a quanto le regole d’arte ed igiene suggeriscono, discende senza grondaie e tubi sul pavimento del cortile e da qui penetra nella cisterna.

Potenza Picena - Piazza Principe di Napoli

La Piazza Principe di Napoli in una foto degli ultimi anni dell’Ottocento.  Nelle aree evidenziate sono visibili i sistemi utilizzati per prelevare l’acqua dalla cisterna e dal pozzo.

Curioso poi è constatare che nella questione che si occupa delle acque minerali e termali viene menzionata una sorgente di acqua salino-minerale in contrada Redefosco della quale manca l’analisi qualitativa e quantitativa. Sebbene sconosciuta a molti, tale sorgente risulta comunque essere stata utilizzata per vari usi fino a pochi decenni fa. In merito poi alle analisi di quest’acqua è opportuno osservare che, contrariamente a quanto si afferma nel questionario, nella metà dell’Ottocento esse furono oggetto di interesse da parte del dottor Dazio Olivi. Vi sono infatti documenti d’archivio che attestano uno scambio epistolare tra l’Olivi e il farmacista lauretano Giuseppe Cesaroni circa il compimento di una esatta analisi dell’acqua per conoscere sia la qualità sia la quantità degli elementi costitutivi della medesima. Benché i motivi di tale indagine deriverebbero infatti dal desiderio del dottor Olivi di conoscere in quali malattie potesse venire amministrata con utilità degli infermi, rimane comunque la perplessità di questa mancata informazione nel questionario anche perché, già all’epoca, i risultati di queste analisi erano reperibili in varie pubblicazioni.

Aspetti sanitari 

Sebbene quindi come in questo caso alcune risposte sono da considerarsi poco corrette o comunque alquanto ondivaghe, dalla lettura del questionario emerge l’immagine di una società caratterizzata da una situazione igienico-sanitaria abbastanza fragile, funestata da non infrequenti affezioni. L’alto tasso di mortalità infantile, i numerosi casi di scabbia e di malattie intestinali, l’angina difterica che si è mantenuta per molti anni quale malattia comune, unita poi ad una significativa diffusione del vaiolo (1872), della scarlattina (1879) e non ultimo il colera morbus che nel 1855 assunse forma epidemica contagiosa con vittime tanto nella città che nel contado, delineano una cronicità caratterizzata da eventi tutt’altro che rari e da un quadro clinico lacunoso in cui delle malattie predominanti, come delle varie epidemie manifestatesi, non venne fatto nessun resoconto. Affidare quindi le speranze a una “chirurgia urbana” capace di estirpare la causa di questi malanni divenne negli anni a seguire la direzione verso la quale protendere.

Questionario 1885

Progetto di una ghiacciaia realizzato nel 1886 dall’ing. Gustavo Bevilacqua per la città di Potenza Picena. Tale proposta venne accantonata a causa dei suoi elevati costi di realizzazione. (ASCPP)

La tutela degli abitati e degli abitanti si impose infatti alla fine del XIX secolo attraverso degli interventi disciplinati da una specifica normativa che troverà nella legge 5849 del 22 dicembre 1888 il maggior provvedimento legislativo in materia. La salubrità dello spazio urbano cercherà specialmente nelle applicazioni idrauliche lo strumento capace di ottenere quel risanamento da tempo auspicato, orientando la sua azione nel sottosuolo delle città. Depurare l’ambiente da tutte quelle situazioni insalubri, obsolete e capaci di produrre malattia, attraverso delle opere capaci di gestire l’afflusso e il deflusso delle acque,  investendo anche in strutture capaci di limitare la deperibilità dei cibi, costituì un atto di notevole importanza perché capace di arginare quegli aspetti che potevano rappresentare delle potenziali criticità.

Risalgono infatti a quegli anni alcuni interventi in questa direzione. Due esempi in tal senso risultano essere la costruzione dell’acquedotto a opera della ditta F.lli Torresi di Macerata su progetto dell’ing. Pallucchini di Fossombrone e l’edificazione in sotterraneo di una neviera comunale, sulla quale si era avviato un lungo dibattito già in anni precedenti. Tali opere, trovando nella corrente igienista del tempo un valido alleato, offrirono un concreto sostegno a un risanamento urbano di più vasto raggio, assumendo anche un ruolo di non secondaria importanza nella prevenzione di pericolose epidemie che traevano dalle carenze igienico-sanitarie terreno fertile alla loro diffusione.

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