a cura del Prof. Marco Severini

Ing. Luigi Scarfiotti
Si è già avuto modo di vedere come Luigi Scarfiotti, industriale e notabile torinese trapiantato a Porto Recanati, sia stato un deputato di lungo corso sotto il regime fascista: infatti, designato alla Camera dei Deputati nelle consultazioni plebescitarie del 1929 e del 1934, fu consigliere nazionale alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni (1939-43), ricoprì dal 1934 al 1943 la carica di segretario dell’Ufficio di presidenza delle due Camere, divenendo infine, nel febbraio 1943, sottosegretario di Stato per le Comunicazioni.
Il padre di Luigi, Lodovico (1861-1924), avvocato ed ex ufficiale di cavalleria, si era distinto negli ambienti finanziari e industriali del capoluogo sabaudo: amico di Orlando e Facta, vice presidente della Società italiana del ghiaccio artificiale, era stato nel luglio 1899 tra i soci fondatori della FIAT e suo presidente fino al luglio 1908, allorché si era dimesso con l’intero Consiglio d’amministrazione (che aveva avuto come primo segretario Giovanni Agnelli) in seguito ad accuse di malevoli, poi rivelatesi infondate, che avevano però catalizzato l’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica.
Lodovico, pure proprietario di una fabbrica di lampadine a Bari, aveva deciso con un tipico understatement piemontese di porsi alla ricerca di nuove attività e, proprio a Porto Recanati, località in cui trascorreva da qualche anno la stagione balneare, fondò nel dicembre 1906 quel Cementificio che per 83 anni avrebbe contrassegnato la vita della cittadina marchigiana: Scarfiotti sborsò 200.000 delle 250.000 lire che costituivano il capitale sociale iniziale, coinvolgendo nella Società in accomandita semplice, per un patto sociale decennale Enrico Volpini, sindaco della cittadina e rampollo di una delle famiglie che allora detenevano il potere politico ed economico della zona, e Giuseppe Moro, ingegnere livornese e pioniere delle nuove frontiere dell’industrializzazione locale.

Ing. Luigi Scarfiotti – con la sua macchina Alfa Romeo
Nello Biondi (Lodovico Scarfiotti, Macerata 1977) e poi Lino Palanca (Gli Scarfiotti e Porto Recanati. Una Famiglia nella storia della Città, Cappelletti, Porto Recanati 1991) hanno dedicato pagine documentate e interessanti al legame tra il clan Scarfiotti e la località adriatica, approfondendo aspetti e momenti delle tre diverse generazioni: quella del patriarca Lodovico, quella del figlio Luigi e infine quella dell’omonimo nipote e figlio di Luigi, Ludovico, campione di Formula Uno e pilota della Ferrari, morto tragicamente nel 1968 in una gara e ricordato recentemente in uno speciale giornalistico (Speciale Scarfiotti, supplemento all’8 giugno 2003 de “il Resto del Carlino”).
Qui interessa sottolineare la passione sportiva del deputato Luigi, corridore di primo livello nell’epoca aurorale dell’automobilismo, cioè negli anni in cui si affermavano i primi gran premi e le corse internazionali destinate a diventare classiche (Targa Florio, 1906; Mille Miglia, 1927) e iniziava a delinearsi il concetto di formula per suddividere i mezzi in rapporto alle loro caratteristiche (cilindrata, peso, consumo, tipo di alimentazione): così, le competizioni furono divise in due differenti categorie, le prove di velocità, su appositi circuiti o autodromi, e quelle di regolarità, su strada, che traevano origine dai primi famosi raid e dalle competizioni stradali d’inizio Novecento.
Primogenito di Lodovico, laurea in ingegneria, carattere chiuso e introverso, autorevole e al tempo stesso autoritario, ma sempre pronto a riconoscere capacità e meriti (come dimostrò con gli stessi dipendenti della Cementi portorecanatese, nella quale si occupò della parte tecnica, divenendo gerente con il fratello Paolo dal 1924 e presidente dal 1948), Luigi si distinse trentaduenne classificandosi secondo nella III Coppa delle Alpi (1923), categoria “Militari”, guidando una Fiat. L’anno seguente, ancora con un veicolo della fabbrica torinese, egli giunse primo nella Osimo Stazione-Castelfidardo e nella Tolentino-Colle di Paterno (classe fino a 1500 cc.) e terzo al Circuito del Garda; nel 1925, su Lancia, vinse la Sambucheto-Recanati, di nuovo, su Talbot, la Tolentino-Colle di Paterno – corsa che si sarebbe aggiudicata anche nel 1926, nel 1928 e nel 1930, con un secondo posto nel 1927 – mentre fece conoscere nome e bravura anche in competizioni nazionali, come la Roma-Norcia (1926, secondo posto, su Talbot), la Coppa Mengara (1929, secondo posto su Lancia) e la coppa Acerbo.

copertina del libro
Il 15 agosto 1928 Scarfiotti partecipò al 1° Circuito automobilistico di Senigallia, una prova indubbiamente impegnativa: il circuito era infatti completamente in terra battuta (in alcuni punti costituito da vero e proprio sterrato di campagna) con una larghezza massima di non più di tre metri ed aveva richiesto un imponente sforzo organizzativo e finanziario: così, per renderlo più agevole, si era provveduto all’ampliamento di un ponte, all’allargamento e alla bitumazione delle curve più pericolose, al ritocco dei bordi delle strade e al taglio delle siepi nei punti in cui queste ostruivano la visibilità.
I tre nomi che garantirono sicuro successo alla nuova manifestazione furono Luigi Fagioli, sulla piccola Salmson, Luigi Arcangeli (che avrebbe vinto le prime due edizioni della gara) su Bugatti, e appunto Luigi Scarfiotti, su Lancia Lambda: “tre presenze di indubbio valore per la loro classe e la perizia tecnica già dimostrate nelle più importanti competizioni nazionali ed estere”, ha scritto Benito Quadraroli in un prezioso volume di qualche anno fa (Circuito di Senigallia. Annali, Senigallia 1989, p. 22).
Scarfiotti partiva con un brillante allungo che però si arrestava al secondo giro a causa di un’imprevedibile rottura dell’acceleratore alla curva Cappuccini e il suo ritiro toglieva “interesse alla gara”.
Nella seconda edizione (1930) Scarfiotti si presentava per la categoria oltre 1500 cc. Con un’Alfa Romeo e, dopo che Arcangeli aveva presto guadagnato la testa della corsa, l’onorevole, con un démarrage fulmineo, si portava a ridosso del campione uscente, lasciando prevedere un duello testa a testa: invece Scarfiotti perdeva improvvisamente una posizione dopo l’altra e si ritirava, infine, per noie all’accensione.
Tuttavia la gara che consacrò la fama di Scarfiotti fu la “Mille Miglia” – la celebre corsa su strada, disputata per la prima volta nel 1927, su un circuito che da Brescia toccava diverse città dell’Italia centro-settentrionale per poi concludersi nello stesso capoluogo lombardo dopo aver percorso una distanza oscillante tra 1615 e 1650 km, corrispondenti appunto a mille miglia inglesi – cui partecipò nel 1927 con una Maserati ritirandosi, nel 1928 con una Lancia Lambda (3000 cc., 4 cilindri) classificandosi al settimo posto e nel 1929 all’undicesimo, sempre con lo stesso veicolo.
Per la VI° edizione dell’aprile 1932 si profilò tra gli sportivi una grande attesa, testimoniata dall’interesse che anche i giornali locali dedicarono all’evento, come si può cogliere leggendo l’articolo del “Corriere Adriatico” dell’8 aprile 1932 nel quale si ricordava, tra l’altro, che l’ormai classica corsa avrebbe toccato, tra le altre, le località di Tolentino, Macerata e Ancona.
In anni in cui gli incidenti automobilistici e motociclistici erano all’ordine del giorno sulle colonne dei quotidiani – come un articolato esame delle pagine sportive del quotidiano marchigiano più importante ha testimoniato – non meravigliarono né i ritiri per incidente di campioni del calibro di Pietro Ghersi e Tazio Nuvolari né il grave incidente avvenuto presso la stazione ferroviaria di Ancona e coinvolgente alcuni civili, in occasione del passaggio delle “Mille Miglia” (“Corriere Adriatico”, 12 aprile 1932).

Avv. Lodovico Scarfiotti
Scarfiotti mostrò una conduzione di gara attenta e lungimirante e formidabili capacità di recupero: soltanto quattordicesimo nel primo passaggio a Bologna, transitò a Firenze decimo, a Roma settimo, a Macerata sesto, quinto – dopo essere passato alle 21.17 ad Ancona “entusiasticamente e simpaticamente salutato dalla folla (”Corriere Adriatico”, 10 aprile 1932) – nel secondo passaggio felsineo, tagliando infine il traguardo bresciano terzo, coprendo i 1640 km in 15 ore, 44 minuti, 41 secondi e 3 quinti, per una media oraria di 103, 75 km (il vincitore Baconin Borzacchini coprì la distanza alla media oraria di 109, 602 km).
Il “Corriere Adriatico” del 17 aprile 1932, nel riportare le gesta di Scarfiotti, biasimava gli “stillati pronostici dei soliti competenti e critici di sport” i quali, pur annoverando il deputato alla sua prima legislatura tra i “migliori guidatori”, non avevano “neppure osato prevedere” la “quasi strepitosa prova del nostro gerarca”.
Scarfiotti aveva guidato con perizia e audacia – come audace appare il gesto, immortalato in una splendida fotografia di p. 37 del citato volume di Quadraroli, nella quale l’onorevole interpreta la difficile curva del Cavallaro nel Circuito senigalliese alla guida di un’Alfa Romeo 1750 6C – e la sua grande affermazione veniva di fatto corroborata da precisi dati tecnici: l’esser stato preceduto solo da due macchine di cilindrata superiore (2-3000 cc.); l’aver battuto il record assoluto della gara dell’anno precedente (innalzandolo da 101,46 a 103,75) e lo stesso record di categoria (2000 cc.) detenuto da Nuvolari con 100,45; l’essersi infine classificato secondo nella categoria “non esperti”, preceduto quindi solo da un pilota (Trossi) che guidava una macchina di cilindrata superiore.
Ma, al di là dell’arida esposizione di cifre e di tempi, il quotidiano dorico esprimeva al gerarca “l’entusiasmo e la sincera ammirazione di tutti gli sportivi della provincia che hanno seguito ansiosamente, vivendola in ogni suo particolare, la mirabile corsa”.
Anche il fratello di Luigi, Casimiro, si cimentò nell’automobilismo, giungendo quinto su Amilcar, alla quarta edizione della gara tolentinate, mentre l’altro fratello, l’avvocato Paolo, si occupò di tennis e sostenne, come tutta la famiglia, la squadra di calcio di Porto Recanati: in occasione di una gara di corsa campestre, Paolo elogiò sia il vincitore sia gli altri partecipanti: “Lo sport è la disciplina nella quale fermamente crediamo, ci insegna a stimarci, a rispettarci, a sentirci uniti ed appartenenti tutti ad una sola famiglia”.
Nella famiglia Scarfiotti la passione automobilistica giunse infine al giovane Ludovico, figlio di Luigi, che iniziò l’attività sportiva appena quattordicenne, nel 1947, classificandosi secondo nel Circuito motociclistico di Porto Recanati, con il ciclomotore “Cucciolo”, con il quale nello stesso anno vinse la gara di Porto San Giorgio.

Ludovico Scarfiotti
Poi il passaggio all’automobilismo, con le prime gare nel 1956, diventando nel 1957 campione italiano della categoria turismo 2000 cc., e ancora la Ferrari, le affermazioni nel Campionato italiano e nel Campionato europeo della montagna e la vittoria “più bella di tutte”, a Monza nel 1966, tre anni dopo aver maturato la decisione del ritiro in seguito ad un grave incidente riportato a Reims durante le prove del Gran Premio di Francia; infine il divorzio dalla scuderia di Maranello nel luglio 1967, con il seguente caustico commento del patron Enzo: “Scarfiotti? È un dilettante e la nostra casa non può permettersi di allestire una macchina per un dilettante. Le corse oggi sono riservate ai professionisti. E poi l’avvocato Agnelli, suo cugino, mi ha mandato una lettera chiedendomi di non farlo più correre in formula uno…”.
Ludovico morì, alla guida di una Porsche, sul circuito tedesco di Rossfeld, nella seconda prova del Campionato europeo della montagna, l’8 giugno 1968, a 35 anni non ancora compiuti: pilota-gentleman che correva per hobby, affabile e composto, un giorno disse: “Perché corro? Non è facile rispondere. È più forte di me. Mi basta vedere una macchina per sentire il desiderio di salirci sopra e correre il più possibile”.
L’ex deputato Luigi, settantasettenne, apprese telefonicamente la tragica notizia della morte del figlio nella sua casa di Porto Recanati, mentre sua moglie si trovava ad una cerimonia nuziale in una villa nei pressi di Macerata.
I funerali di Ludovico, seguiti da giornali e opinione pubblica, si celebrarono a Torino, un anno dopo la morte, a Montecarlo, di Lorenzo Bandini, altro grande esponente dell’automobilismo italiano di quegli anni.
Il deputato-pilota Luigi si spense invece a Roma, ottuagenario, qualche anno più tardi, in maniera più mesta, lontano dall’ufficialità e da quel mondo politico e sportivo in cui aveva recitato un soggetto brillante e imprevedibile, riuscendo a distinguersi tra pochi protagonisti e molte controfigure.
Articolo tratto dal libro:
Notabili e funzionari
I deputati delle Marche tra crisi dello Stato liberale e regime fascista (1919-1943)
Ed. affinità elettive, Ancona 2006
Si ringrazia per averci segnalato l’articolo, il Dott. Roberto Domenichini, Direttore dell’Archivio di Stato di Pesaro. Inoltre si ringraziano sia il Prof. Marco Severini, autore del testo, che la Dott.ssa Valentina Conti, della Casa Editrice Affinità Elettive di Ancona, per averci consentito di pubblicarlo. Grazie anche all’Ing. Gianfranco Morgoni per averlo trascritto.
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